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Italiani a Cannes: La stampa estera dà i voti
Festival negativo per i film italiani, nelle parole dei media il perché dell’esito
Bellocchio e Moretti hanno scosso l’attenzione e l’umore della critica inglese

A cura di Franco Ferri

Bellocchio, Moretti e Rohrwacher a Cannes 2023
Bellocchio, Moretti e Rohrwacher a Cannes 2023
Al 76° Festival di Cannes il cinema italiano ha proposto in competizione tre pellicole come non accadeva da alcune stagioni. Nanni Moretti (Il Sol dell’Avvenire),Marco Bellocchio (Rapito) e Alice Rohrwacher (la Chimera) sono stati i player che hanno cercato visibilità per la Palma d’Oro. Un riconoscimento che per quanto riguardo l’Italia é lontano oltre un ventennio quando vinse proprio Nanni Moretti con La Stanza del Figlio. Il ritorno di Moretti con il suo ultimo film,quest’anno il più visto nella penisola tra le produzioni italiane,ricongiunge una stima assieme a registi precedentemente premiati a Cannes (Rohrwacher) e la rilancia in compagnia di solidi veterani della selezione ufficiale (Bellocchio). Come sempre le speranze e l’enfasi tributate dai media italiani puntavano alto ma le pubbliche visioni associate ai giudizi della stampa internazionale sanciranno per i tre autori un riscontro ben diverso. In definitiva alcun premio verrà conferito ai lavori italiani,verdetti del resto anticipati dalle grandi testate,che in sede di analisi avevano pronosticato un Palmares 2023 risultato poi molto aderente alle loro tesi. Per capire l’atmosfera che si percepiva intorno ai film italiani,ancor meglio stabilirne un concreto potenziale artistico e il conseguente accoglimento in termini di globalità,diverranno indispensabili documentazioni i resoconti dei critici arrivati da ogni paese. Il primo a presentarsi davanti a questa tribuna mondializzata è stato Marco Bellocchio con Rapito. La sottile ricostruzione storica della pellicola colpisce per prima Sandra Onana,opinionista del quotidiano francese Liberation,che dichiara. “E’ un’accusa contro il fanatismo cattolico in cui il regista risalta una dinamica stravagante”. Invece per il giornale tedesco Die Welt,“Bellocchio scruta negli abissi storici della Chiesa cattolica portando alla luce un misfatto”. Pur recependo la dialettica del complesso affresco la disamina sembra non suggerire molti altri elementi alla testata che terminerà lapidaria,“Ma cosa ci fa in competizione l’irriverente convenzionalità del film”? Jacky Bornet,recensore per France Television (France 2),ammette che “«Rapito» privilegia troppo il lato emotivo a scapito della messa in scena,il film non sembra del tutto convincente,visto anche il parere condiviso da molti frequentatori del festival”. Effervescenti dichiarazioni provengono da Peter Bradshaw (The Guardian). Il critico inglese ha ammirato moltissimo l’attacco anti papalino del regista italiano e dichiara senza perifrasi, “Sono entusiasta di questo film che rimanda al caso Dreyfus,pare già un classico”. La reattività scuote le corde di Peter Bradshaw quando vede film italiani ma il giorno dopo sarà invece molto contrariato nel post proiezione dell’atteso Moretti.“«Il Sol dell’Avvenire» è incredibilmente orribile,confuso,mediocre”,dirà con voce acuta,sottolineando una tendenza in seguito stabilizzata anche negli aggiornamenti giornalieri di Screen Daily,compilati attraverso i giornali più prestigiosi che hanno assegnato al film la media voto più bassa del festival. Per capire il metro di valutazione il film italiano ha ottenuto nel complesso un punteggio di 1.3 quando la Palma d’Oro di Justine Triet (Anatomie d’une Chute) conseguirà un valore pari a 3 e la storia diretta da Aki Kaurismäki (Fallen Leaves),vincitrice del Premio della Giuria,conquisterà addirittura 3.2. Sembra trascorsa un’eternità dai tempi in cui Nanni Moretti aveva trovato in Francia un feeling che ora pare sia in discesa alla luce dei netti giudizi dei critici.

La stampa estera giudica i film italiani
La stampa estera giudica i film italiani
Samuel Douhaire afferma su Télérama,”Moretti non si risparmia nel ruolo di retrogrado e pieno di sé che taglia fuori tutti e dà lezioni di cinema e di morale a tutta la Terra”. Mentre Eric Neuhoff (Le Figaro) si fa tentare dal decadentismo insito nel Sol dell’Avvenire,avendogli suggerito dal fondo accostamenti di forte malinconia,”Il futuro non è più quello di una volta,il passato è allo stesso modo. Per le strade di Roma i monopattini elettrici hanno sostituito le Vespe”. Raccontando al pubblico germanico una sintetica quotazione del film con Orlando e la Buy,il quotidiano Die Zeit non offre margini d’incertezza,”Dove prima c'era l'autoironia ora regna il puro autocompiacimento”.Un po’ meglio si tinge l’accoglienza per Alice Rohrwacher e il suo La Chimera. Una storia calata negli anni ’80 tra il background dei tombaroli e quel mondo dei predatori di tombe etrusche che richiama per alcune suggestioni ambientali al film di Flavio Mogherini (La Ragazza dei Lillà) ma per i recensori di Cannes i collegamenti vanno direttamente ai piani nobili del cinema.”Strizza l'occhio a Fellini ricordando la famosissima scena di «Roma»” (aria che penetra nel ritrovato monumento funebre e sembra cancellare gli affreschi presenti) osa dichiarare Jean-Baptiste Morain del magazine cinefilo Lesinrockuptibles. Per Louis Guichard esperto in materia su Télérama la Rohrwacher ha fatto un film che è “Una commedia neorealista sull'avidità,un manifesto della marginalità,una storia d'amore in erba”. Non è piaciuto per niente a Marin Gérard della rivista tutta di cinema,Critikat,che usando ironia sul titolo della storia così sentenzia,”«La Chimera» purtroppo è all'altezza del suo titolo sia nella riuscita dei personaggi che nell’esito della stessa regia”. Il concorso del più importante festival del mondo replica una diagnosi per nulla positiva sullo stato del cinema italiano. Su Cannes si può dire qualunque cosa,ma con rigore assoluto è il posto dove troveremo costantemente la vera mappa della cinematografia moderna che sa indicare quali linguaggi e novità salienti stanno stratificando o modificando la progettualità dei film. Antiretorico per eccellenza guarda soprattutto all’intreccio tra modalità espressive,stilismi d’autore mai fini a sé stessi,che abbiano estensione per far comprendere alle genti il fulcro e le filigrane del tempo contemporaneo,questa resta la chiave di riferimento privilegiata dalla kermesse. L’osservazione dell’ultima caratteristica fa considerare come i tre film targati Italia fossero diametralmente distanti da tale profilo,troppo incurvati all’indietro per essere apprezzati quali testimonianze pulsanti che vogliono essere condivise nel mondo. Aver scelto una comune ambientazione nel passato di per se non è una colpa,difatti The Zone of Interest di Jonathan Glazer,dentro gli anni ’40,vincerà il Gran Prix eppure la storia assume una rivelazione attualissima che dona immagini e concetti cupamente chiari al pubblico del 21° secolo. Le scelte di Bellocchio,Moretti,Rohrwacher,al contrario hanno nutrito una sorta di manierismo difficoltoso da comprendere fuori,risaltando semmai quella chiusura culturale ormai cronica che ha sedimentato la lunga involuzione domestica parallela alla perdita di prestigio internazionale del cinema italiano. L’indifferenza e la mancanza di studio nei confronti delle altre cinematografie non hanno prodotto sane contaminazioni e prototipi innovativi. Cannes possiede altresì il pregio non esattamente collaterale di esaltare la funzione critica e di rendere gli spettatori vivi togliendoli dalla consuetudine di livellati consumatori. Prendiamone atto come un principio per cambiare aiuterà pure a produrre migliori pellicole in questo paese,senza scordare che le storie di Bellocchio e Moretti sono state tra le meno difettose della scuderia nazionale nell’anno in corso,e questo fa riflettere glacialmente sullo stato delle cose.