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APRILE 2024

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Il Meglio e il Peggio del mese
IL SOL DELL’AVVENIRE di Nanni Moretti
Sceneggiatura di Francesca Marciano,Nanni Moretti,Federica Pontremoli,Valia Santella

Con Nanni Moretti,Margherita Buy,Silvio Orlando,Barbora Bobulova

Lo strappo è una condizione circolare di ricerca del nuovo su cui Nanni Moretti giocò una chance ciclopica per sviluppare altre strade evolutive del suo cinema. Momenti focali dai quali voleva scoprire un non estemporaneo,inusuale,potere di scrivere e filmare quel senso drammaturgico che ha sempre ammirato da cinefilo,e nell’ultimo decennio provò una lenta migrazione su questa progettualità. Così realizzava,Mia Madre (2015) e in particolare l’articolato Tre Piani (2021) ma risaltarono su tale versante solo l’eco della delusione. Il Sol dell’Avvenire rappresenta una rapida retromarcia,forse l’abiura a disegni che non espletano in modo ottimale la diretta esposizione della propria personalità. Pertanto il ritorno al suo cinema dove lui stesso in una sorta di one man band magnetico riesce a convergere,diramare convinzioni,deliberare giudizi universali,torna ad essere l’approdo più conveniente per sé medesimo e più richiesto dal pubblico degli estimatori. Non lasciare mai la strada vecchia per una nuova sembra sia stato il proverbio alla fine preferito da Nanni Moretti,ma nel fondo della questione sussiste qualche ragione che dà sostegno alla scelta registica di base. Il Sol dell’Avvenire seppur a sbalzi fa ritrovare la spontaneità narrativa che pareva perduta perché si riconoscono in taluni passaggi la solida sincerità e la confidenza emotiva con un mondo conosciuto,sofferto e disilluso. Nel fondo ritrova discreta agiatezza l’anima della sarcastica commedia Morettiana che si è giovata molto spesso della costruzione metacinematografica quale filologia espressiva per modellare intelletto e situazioni. Il film nei film rende a tratti offrendo al destro di Giovanni (Nanni Moretti) assist per riflessioni e pensieri. S’ispira abbondantemente a Fellini (già dai titoli di testa),si serve del suo cinema preferito citando tra gli altri,John Cassavetes,Krzysztof Kieślowski,Jacques Demy e sarà assai ironico,graffiante,duro,quando dialoga con i dirigenti di Netflix mettendo in scena la cosa migliore del film. I fondali eretti per esigenze sceniche fiondano tra passato e presente innalzando una ragione d’essere che guarda soprattutto alla parte più ambiziosa del film in cui certificare un’abilitazione dal costrutto mitico. La discesa nel passato motiva affetto ideale ma rende palese il disorientamento che alla resa dei conti diverrà lampante marchiando instabilità su tutto il film. I giorni del 1956 durante l’invasione sovietica in Ungheria,con la mole massiccia di distinguo che sorsero nel partito comunista d’Italia,rilasciano nei capitoli cinematografici troppa frammentarietà e sono del tutto privi di vera questione dibattimentale per assurgere a dimensione importante all’interno di un processo storicizzante. La visione individuale è come l’amore ma assume fisionomia di pretesto,dettato da riassuntivi e comodi paragrafi in questo episodio,non potendo definire con armonica coerenza l’afflato del simbolo. Nanni Moretti fa intendere invero per afflizione nostalgica la figura della ritirata (non è certo un’avanzata),erigendo una torre d’avorio dove in modo pilatesco si rifugia per sognare ma eludendo in effetti i nodi cruciali del presente. Sembra una dichiarazione di resa che indebolisce l’autore,la sua proverbiale concezione iconoclasta rendendolo pragmaticamente inadeguato a “dire qualcosa di sinistra”,e sarebbe un coraggio di primaria utilità nella società attuale. In buona parte de Il Sol dell’Avvenire il regista/attore risulta sterilizzato,un po’ ottenebrato,cammina nel racconto riproponendo vezzi,antichi feticismi,canzoni stonate e filtrate da ogni anglicismo (va di moda) ma tornando al cinema di rango l’abbiamo preferito ne Il Caimano e Habemus Papam quando l’equilibrio tra realtà e fiction era di fatto un cerchio perfetto.