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A Venezia un settembre molto streaming
I verdetti del festival 2021 celebrano un pericoloso matrimonio con Netflix
Polemiche sulla presunta abiura ad essere vera mostra d’arte cinematografica

A cura di Franco Ferri

Uno strano matrimonio: Venezia-Netflix
Uno strano matrimonio: Venezia-Netflix
Il Festival di Venezia che ripudia apertamente la schietta natura per cui è nato ovvero l’essere mostra d’arte cinematografica e diviene anno dopo anno il più estemporaneo showroom del nuovo corso televisivo chiamato streaming. C’è molta differenza tra format e stile che divide un film dal dna grande schermo da quello pronto per l’app on demand,eppure tanti non se ne rendono conto magari fanno finta di non conoscerla. Venezia78 è attratta dalle sirene,forse irrimediabilmente smarrita perché perde ancora rispetto ai Palmares di Cannes,veri baluardi e punti di riferimento della cinematografia innovativa. Il senso di confusione prevale in giro anche se un po’tutti s’adeguano ma sul Corriere della Sera Paolo Mereghetti non lo manda a dire,“Un festival di cinema che premia il maggior fornitore di film in streaming”. Netflix è il servizio stream che non rispetta la filiera del cinema e con oggettivo disincanto va considerato quale distruttivo antagonista della stessa. Sappiamo che i film distribuiti hanno una vita molto affine alla socialità quasi ne seguissero inclinazioni a largo raggio e contestualmente si offrono alle disponibilità,possibilità di ognuno. Si potranno vedere in sala per un po’,subito dopo si andranno a noleggiare per l’home video in seguito saranno in pay tv,ma trascorso un tempo più lungo li puoi seguire gratuitamente sulle reti televisive in chiaro esaltando quel senso partecipativo,compiuto ed ecumenico al quale rendono meritevole opera. Al contrario Netflix non sembra aderire al vitale cerchio,estremizza il concetto di proprietà nel copyright dei titoli che produce e gestisce perché le visioni dei film saranno possibili soltanto nel suo store. Non verranno condivise nel tempo con altri supporti di qualsivoglia natura,siano essi altri network tv o cinema,facendo manifestare con grigia disinvoltura un indegno spirito dal valore spiccatamente egoistico se non addirittura antidemocratico. E’ una chiusura all’esterno confermata ancora dalla negazione di comunicare statistiche e cifre sull’audience degli utenti,lasciando sottintendere ambiguamente che anche un titolo flop con un accorto uso del marketing possa divenire top sulla loro piattaforma. Al contrario qualunque pellicola che entri in una sala cinematografica ovunque nel mondo verrà sempre censita da istituti indipendenti e sapremo con criteri aggiornati il suo veritiero status verso il pubblico. Resta perplessa su tale condizione Cristina Battocletti (Il Sole 24 Ore) che riferendosi a uno degli streaming premiati (Il Potere del Cane) afferma,“Sarà difficile ritrovarlo sul piccolo schermo di Netflix”. Tornando su Venezia 2021 il presidente della Giuria e grande regista Bong Joon-Ho ha difeso strenuamente un lavoro di impegno e autenticità sociale portandolo sul gradino più alto. Così parlo in favore de L’événement di Audrey Diwan,”Abbiamo premiato la bellezza dell'opera,il verdetto è stato unanime e veloce”. Rivolgendosi alla regista francese dice “Abbiamo amato il tuo film”.

Audrey Diwan: La regista con il Leone d'Oro
Audrey Diwan: La regista con il Leone d'Oro
L’autore di Parasite come nella sua più limpida espressione non ha ceduto a compromessi,non recepirà mai le pressioni del sistema locale che avrebbe voluto un Leone d’Oro tutto italiano e soprattutto ha appoggiato nella corsa al massimo premio una sincera storia veramente da grande schermo. Questa scelta ha senz’altro salvato il festival da polemiche più roventi ma quattro premi a Netflix e uno a Hbo (miglior attore) sono un record chiacchierato che nessun’altra competizione di grande livello vorrebbe tirarsi dietro. Federico Pontiggia sul Fatto Quotidiano definisce i film della kermesse “Non eccelsi,probabilmente troppi e avanza l’autoreferenzialità festivaliera”. Alessandra Levantesi Kezich (La Stampa) a proposito del premio andato a Maggie Gyllenhaal per la sceneggiatura di The Lost DaughterLa Figlia Oscura, afferma “Siamo sicuri che non ci fossero copioni migliori ?” Mentre il Leone d’Argento - Miglior Regia a Jane Campion (Il Potere del Cane) appare per Fulvia Caprara (La Stampa) il riconoscimento ad un ”Western in un’ottica appassionata e sensibile,mettendo a fuoco segreti e contraddizioni di una cultura machista”. Però ciò che manca al film della Campion per avere carisma tout court,e non soltanto da festival,é una completezza originale che lo risalti. Si intuiscono schemi,déjàvu,che rifanno tematiche e personaggi di conosciuti film indipendenti del passato,ma la fermentazione voluta dalla regista neozelandese rilascia il gusto blando di una birra analcolica peraltro adatta nella ricettività dello schermo casalingo. Netflix cercherà di condurlo alle nomination Oscar senza farsi limitare da distinguo risaltando la più aggressiva immagine lobbistica che sia comparsa nel secondo millennio. In quest’ottica s’inserisce E’ Stata la Mano di Dio di Sorrentino (Leone d’Argento),”Entrato di fatto già nella campagna per l’Oscar 2022”,secondo quanto ammette Pedro Armocida (Il Giornale). Fulvia Caprara sta nel tema e dichiara ”Si apre la strada dell’Oscar e Napoli diventa come Città del Messico”,ma evocando in parallelo le location di Roma di Alfonso Cuarón,anch’esso in quota Netflix premiato alla notte hollywoodiana 2019,porta in luce singolari e comuni orientamenti dei due film. Il marchio del video on demand pare insistere nel prediligere storie con elementi pittoreschi da codificare in un genere stereotipato,riconoscibile e accattivante che nei più avveduti per riflessiva reazione rammenterà il gioco ipnotico dei pifferai incantatori di serpenti. Per Sorrentino Maradona è l’icona che stimola il verbo della raffigurazione e da esso poter trasfigurare un senso della ritualità collettiva,malgrado tutto riuscirà a cogliere solo scampoli marginali dall’esito rigonfiato di superficiale. Prosegue da tempo sulla parafrasi del mitico calciatore,farne la marmorea statua è un conto ma tentare di estrarre dal cappellone del prestigiatore l’archetipo di una vita ispiratrice consegnerà un lavoro carico di sola evanescenza. Quello che lascia perplessi davanti a E’ Stata la Mano di Dio è la sconcertante leggerezza di gran parte della trama inconciliabile con una prestigiosa rassegna d’arte cinematografica. Se la tendenza è questa correrà con ogni probabilità alle nomination dei prossimi Oscar ma rimaniamo consapevoli che difficilmente fuori d’Italia possa raccogliere consensi e vittorie importanti. Farà eco Federico Pontiggia (Il Fatto Quotidiano) accentuando con ironia il presunto prossimo viaggio tra Venezia e Hollywood.”«Il Pibe d’Argento» potrà consolarsi con la candidatura per l’Italia agli Oscar,ormai certa”.
19 settembre 2021