È in una storia come questa che Ryan Coogler demanda affetto e sincerità esprimendo senza blocchi le proprie preferenze,le ardite comunanze,le sofferte ingerenze nello spirito di una cultura. Ama farlo con il tatto lieve del raffinato cesellatore,ma le figure che predilige possiedono le deformanti ruvidezze prodotte da una lancia infuocata,facendosi garante di uno status della materia visto nelle sue ricche angolature genetiche. Molto più a suo agio che in
Prossima Fermata Fruitvale Station o nei simboli Marveliani dei
Black Panther non rappresenta il racconto tramite capisaldi di retorica,e per questo va diretto nell’agone del mito con la convinzione di rafforzarne una personale lettura. Il film potrebbe entrare in simbiosi con molti generi,anche se per propri elementi peculiari,le affinità diverse,i ponti nodali verso ogni orizzonte,stratificano sulla narrazione un sapore stilistico e omogeneo che diviene preminente. Può subito apparire in veste storico-classica,per poi cingersi i panni sdruciti e infangati di un gang-movie oppure spalancare le porte dell’horror,ma saranno sempre le radici del Blues,la musica nera che piace ai bianchi,a trasmettere i passi dell’evoluzione e guidare qualunque altro volano di passioni che sorregga delle vite depresse. Canzoni e chitarra possono cogliere,raccontare il profondo dell’anima da cui decifrare la tempra e le tensioni degli individui,ricavando per straordinaria induttiva connessione una veritiera aderenza con l’arcano,che si equipara a quello scritto e riferito dalla religione. Musiche e balli disegnano con dignità le propensioni valorose,sanno misurare le permeabili debolezze che possono essere intaccate anche da forze negative. L’ideale della religiosità laica espressa dal Blues contiene basi antropologiche e raggiunge risultati unendo anime e ardori,dentro ogni strofa,nell’estroverso ipnotismo di un riff,non troveremo la granitica certezza del dogma che assale confondendo la prospettiva spirituale. Questa forma di dialogo con le profondità recondite mette in guardia evocando,e nel dolore che sovente esprime con emotiva partecipazione rivela il deviante incontro dell’uomo probo con le creature malvagie. Il corruttibile momento non si presenta con l’astratta determinazione delle parabole care alle Chiese,ma riferisce della semplicità e sulle dimesse mentite spoglie di uomini infidi. Angeli e demoni camminano accanto,su tali identità la pellicola gioca un’allegoria complicata dal volto paradossale che avrà invero ricadute eccellenti. La vicenda apre un capitolo oscuro che vede la comparsa di vampiri in cerca di ospitalità. I dubbi,il magnetismo contrario,uno strano modello di competizione piombano nella storia sbaragliando quell’ideale di purezza ma al tempo stesso svelando la verità temuta enunciata dalle canzoni. È la parte più sociopolitica che si allarga al razzismo e alla convenienza,diviene un J’accuse a bianchi e neri non tanto divisi dalla musica quanto accerchiati e costretti dall’opportunismo strisciante. Il male induce all’ipocrisia eppure tale specie di connivenza forzosa abilita facoltà insolite alle quali delegare una via d’uscita. Il film propende alla visionarietà accendendo specifiche sequenze dal dono distintivo che andranno gustate nei loro momenti topici,spirito e note musicali avranno ragioni fondamentali per fondersi in una vita da vivere con grazia. Questa variegata e sofferta trama di due gemelli in cerca di fortuna che dura sessant’anni ha tanti motivi di spessore autentico da raccontare. Le scelte che rappresenta costituiscono la sorpresa più rigogliosa,atipica,premiata ai botteghini mondiali nella prima parte dell’anno.