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L’altra vita di Walter Mitty
Il film di Ben Stiller è uno di quelli che può mandare in tilt i critici
Non si tratta di un remake, il tema moderno viene scambiato per vintage

A cura di FRANCO FERRI

Ben Stiller, mito e azione in Walter Mitty
Ben Stiller, mito e azione in Walter Mitty
Il titolo originale The Secret Life of Walter Mitty rende giustizia e miglior significante al film di Ben Stiller. Non soltanto per l’aspetto simbolico,subliminale che lega la vicenda al celebre magazine ormai defunto,Life,ma di più per il rapporto intimo e segreto che intreccia le relazioni del destino visto come disegno irrazionale quanto fondante di un’esistenza compiuta. La traduzione della versione italiana,I Sogni Segreti di Walter Mitty rimanda in modo sommario all’aspetto fantasioso del racconto breve di James Thurber che ispirò anche la celebre pellicola con Danny Kaye,Sogni Proibiti. I due film però sono diametralmente opposti non soltanto per appartenere a generazioni diverse quanto per la sensibilità moderna e meta narrante presente nel lavoro odierno. La radice culturale è una trappola dove sono caduti diversi critici che arbitrariamente hanno presentato l’attuale come il rifacimento di quello del 1947. Primo fra tutti Maurizio Porro su Vivi Milano del Corriere della Sera che parla anche di “Cinema vintage” mentre Valerio Caprara sul Mattino ci va giù diretto,” Non si sentiva il bisogno di un remake surrealista e vintage del delizioso «Sogni Proibiti»”. Fuori luogo richiamarsi al vintage per un film che non si rifà affatto ad un altro,soprattutto è sbagliato l’uso di quel termine che va ascritto a uso e consumo della sola oggettistica datata,antiquaria. Non può riferirsi a prodotti dell’immaginario e della percezione sensibile in quanto inerenti ad un particolare processo osmotico della sfera cosiddetta immateriale. Mozart e i Beatles,Hemingway e Scott Fitzgerald,Chaplin e Kubrick sono allora semplicemente l’eco del passato ? Una musica,un’opera letteraria o filmica seppur create in un tempo lontano richiamano suggestioni al di là di regole e mode. Quando entriamo in comunicazione con esse si schiudono porte che travalicano il dato temporale. Si apre un misterioso spazio che viene allineato e metabolizzato dalla nostra percezione,cui non chiediamo ragione anagrafica,ma ne accettiamo l’energia universale.

Raffaella Giancristofaro
Raffaella Giancristofaro
In Walter Mitty,Paolo D’Agostini (La Repubblica) sente,” Un’anima,l'americanissima fiducia in se stessi che può fare di ognuno di noi un eroe ma il film gira su se stesso senza bussola”. Ancora qualche sforzo e il critico capitolino sarebbe arrivato all’arcano. Egli usa mente e metodo analogico,un ricercatore tradizionale che non sa aprire con le giuste chiavi i livelli profondi del film,ha sottovalutato la traccia del 25°scatto. Quindi non accede all’affresco allegorico della scoperta. Peccato ! Un vero dramma da recensori. Invece totale impasse per Giulia D’Agnolo Vallan de Il Manifesto quando dice.“ Le avventure di Walter Mitty sembrano idee promozionali per un depliant di vacanze col brivido”. A scuola per chi andava fuori tema al compito in classe erano guai. La prassi analogica continua a protrarsi nel generale,non soltanto come sviluppo di idee e comportamenti,ma anche nell’accezione tecnologica che divide dal mondo digitale in ascesa. D’obbligo il richiamo nel film che Anna Maria Pasetti sul Fatto Quotidiano svolge così.“ Intelligente,ironico e poetico zoom sullo sconfinamento tra l'Era analogica e digitale,ovvero sul fondamentale e problematico passaggio tra l'immanente e il trascendente ”. In effetti è un capitolo primario,semmai vogliamo ricordare alla Pasetti che nel film questo non si riduce a patina nostalgica. Gli ispirati momenti riconducibili alla chiusura dell’edizione cartacea di Life,il successivo ingresso online e il definitivo stop non sono patina crepuscolare. L’elogio della pellicola va inteso nel processo più attuale e veritiero. Il supporto di policarbonato che capta e rivela forme,sembianze,colori resta a tutt’oggi il più valido per cogliere le infinite sfumature e gradazioni della materia. Il grandissimo business che sta dietro la sua sostituzione con il digitale fa meditare. Il cinema dovrebbe passare sugli schermi tutto in quella tecnologia ? Perchè i titoli più in voga o che usciranno continuano a girarli con pellicole molto performanti ? Una contraddizione palese,non stiamo parlando di produzioni italiche (risparmiose e digitali) ma di quelle made in Hollywood. La modernità de I Sogni Segreti di Walter Mitty riluce semmai per rendere effettiva la sublimazione di un pensiero e spirito che concepisce il cerchio completo dell’affresco fatalistico. In questo si può chiamare davvero digitale e interfacciato con un’idea giovane,concreta da sostenere apertamente senza remore. Non la troveremo di certo nei giornali e media storici che ormai scrivono e parlano solo per le generazioni avanzate,bensì in un periodico nella sostanza propenso al nuovo,Rolling Stone. Raffaella Giancristofaro decripta brillantemente la sintesi del film.” Crossover di generi con elementi di originalità,rimastica l'estetica hollywoodiana per riscoprire il sé,esaltare il potere dell’immaginazione e la ricchezza della vita ”.
4 gennaio 2014