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Bellocchio: Sotto l’ala del sovranismo
La curiosa storia del Traditore che non vince a Cannes ma passa per trionfatore
Patriottismo mediatico in ascesa per un film che poteva avere un altro trattamento

A cura di Franco Ferri

Marco Bellocchio regista de Il Traditore
Marco Bellocchio regista de Il Traditore
Ci sono tracce che spesso non molti rivelano nei sentieri della vastità mediatica,per manifesta idiosincrasia nel saperle captare oppure a causa della saggezza da convenienza che consiglia di non approfondire dove proviene il riverbero di certi suoni. Farà anche parte di un normale trend orbitale cui dovremmo essere sempre devoti e poco critici,ma se per caso le particelle della curiosità entrano in un campo familiare d’istinto scopriremo un mondo di propaganda poco affine alla verità. Nello straboccante fiume in cui sono confuse informazione e pubblicità da tempo si è inserito un forte connotato dalle radici nazionaliste che usa prodotti commerciali per veicolare il concetto della sovranità. Così se il pascolo del nostro vicino pare fornisca il latte più buono di quello oltre confine comprenderemo quanto il paradigma riesca a confezionare un dogma efficace seppur centri effetti in gran parte grotteschi,”Carne italiana come me”,invoca uno spot incurante dell’involontaria comicità. Da questi tormentoni continui trova linfa uno dei fenomeni più sottili e complessi che sono presenti nei canali della società risultando determinante nello sviluppo di ulteriori assetti politici: Il sovranismo viene tradotto in maniera epidermica dimenticando che il concetto nell’estensione di esercizio preveda quello non meno inquietante di sudditanza,ma sono le parole nuove a cambiare l’essenza? Rientra in gioco attraverso il restyling da nuovo millennio la vecchia piaga autarchica che portò solo sfortuna,anche se oggi il tentativo di sdoganare il volto in maschera del fascismo 3.0 attecchisce trasversalmente al di là dei recinti politici in individui e gruppi d’insospettata appartenenza. Il caso curioso giunge appena si conclude il Festival di Cannes 2019 dove tra gli altri c’era l’unico film italiano in concorso,Il Traditore di Marco Bellocchio. La pellicola dedicata al controverso pentito di Cosa Nostra,Tommaso Buscetta,non ha vinto alcun premio della Selezione Ufficiale,tuttavia i media hanno preferito aggettivi patriottici che introducessero all’evento con eccessivo,strumentale,alzabandiera tricolore. Chiaro esempio giunge dalla Rai,il cui giornale radio,Gr1,al termine del festival francese annuncia con vigore,” Dedichiamo uno special al film che ha trionfato a Cannes”. Se qualche ascoltatore dopo una lunga vacanza su Marte tornando alla realtà delle cose italiane fosse stato abbagliato dall’annuncio pomposo avrebbe inteso d’incanto che Il Traditore possa aver stracciato i concorrenti nel conteggio del Palmares. Non scommettiamo sulla deontologia della stampa,correttezza non è sinonimo dell’opportunismo sfrenato,ma nel tossico clima di ossessiva parzialità ci mette contributo un addetto ai lavori. La regista Alice Rohrwacher era nella Giuria Internazionale e dice con disincantata armonia.” Ho cercato d’imporre un premio per Bellocchio battendo sul tavolo,ho dovuto arrendermi al democratico verdetto ecumenico e alle scelte del presidente,Alejandro González Iñárritu”: Del resto la raccomandazione un po’ furtiva per un premio nelle giurie di Cannes è stata la costante nel cinema italiano durante le stagioni trascorse,ma l’informazione non può continuare a defraudare lettori,telespettatori senza un giudizio puntuale sul valore dei film. Per ciò non approviamo l’incessante richiamo per rimbambiti che di solito si concentra sul minutaggio degli applausi. “Il Traditore accolto a Cannes con 13 minuti di battimani”: Un noioso refrain ormai che non stabilisce con forza spontanea il livello delle opinioni e dell’accoglienza essendo il risultato di una claque protocollare,prezzolata, programmata magicamente per l’ufficialità e propedeutica al fattore organizzativo di una produzione. Altrimenti con certi accorgimenti perfino un film delle Comencini o di Muccino potrebbe aspirare al capolavoro riconosciuto.

Pierfrancesco Favino é il pentito Buscetta
Pierfrancesco Favino é il pentito Buscetta

Il cinema italiano è sotto l’ala protettiva di una specie di sovranismo della prima ora che fin dal suo apparire ha manifestato un trend culturale chiuso,scarsamente propenso al confronto con le tendenze internazionali quanto arroccato su posizioni di difesa lobbista del sistema. E’ una condizione che adesso si trova nel perfetto agio linguistico di un clima socio politico in ascesa. L’aspetto più paradossale della questione sarà di natura etica,perché Marco Bellocchio viene da formazione schiettamente progressista mentre ora si ritrova circondato e sostenuto dalle fanfare patriottarde che richiamano sempre più da vicino regimi lontani. Il Traditore rivela una condivisione ampia nel paese perché depotenziato di ampiezza deflagrante e nella regola,in fondo non tradisce i suscettibili umori dei proprietari del condominio. Ha evitato l’immischiarsi negli intrecci pericolosi di potere che la figura di Buscetta poteva richiamare togliendo dalla possibile graticola apparati politici tuttora sulla stanza dei bottoni. La trattativa stato-mafia della quale il pentito pare sapesse molte cose viene resa volatile e abilmente declassata nel racconto alla pari del rapporto con il giudice Falcone perlopiù avvolto di rispettosa,reciproca comunicativa. D'altronde il via libera alla produzione Rai sottintendeva una scelta asettica e sterilizzata che ha posto in evidenza soprattutto le tensioni e uno studio psicoanalitico del personaggio,mettendo sicuramente in risalto caratteristiche consone al cinema del regista evitando ortiche e scomodi rovi. Però va ricordato come la pellicola ha perso un’occasione per scostarsi dalla tradizione poco coraggiosa del cinema nazionale di questi anni. Nel nome di Buscetta ci fu un dibattito appassionato e frastagliato che avrebbe fornito ulteriore linfa e maggior contributo di ambiguità al dramma dell’uomo,più in generale sarebbero stati introduttivi alla costruzione di una storia con maggior impegno civile. D’altro canto avrebbe meritato da parte dei media una divulgazione migliore e articolata senza le protesi artificiali che supportano eccessi nazionalisti. Il Traditore nella cifra schiettamente stilistica possiede comunque qualità introvabili nei film italiani del presente. Bellocchio racconta Buscetta scrutando i luoghi profondi della mente,circondata dagli inestricabili reticoli prodotti dai codici di Cosa Nostra,che stratificano turbamenti nell’uomo quando decide di attuare il verbo dell’eresia. La paura suscita nell’attenzione intime soluzioni visionarie,compone un intermezzo paralizzante attuato grazie al giogo mafioso che solleva risposte tempestive e determinanti nelle variabili del pentito. Non dimenticando la puntigliosa direzione degli attori che nella sequenza del tribunale fa catalizzare l’interesse sugli eventi con eccellente resa,attraverso un dinamico feedback,tratto dai verbali di udienza,giammai condizionato dalla burocratica freddezza delle carte. Il difetto che ha frenato la pellicola,a quanto riferiscono critici e opinionisti internazionali presenti sulla Costa Azzurra,è stata la narrazione di una storia con personaggi e fatti molto conosciuti ma di sola pertinenza italiana nella quale all’estero hanno fatto fatica ad intendere certe sfumature. Questa discreta perdita di smalto del Traditore si concentra nella costruzione drammaturgica,di cui accennavamo,che andava perseguita con più rigore e interfacciamento di temi per acquisire una limpida fruizione universale. Con ogni probabilità risiede in tal segmento la svolta che poteva permettere al film di Bellocchio di accedere ai premi di Cannes 72.

2 giugno 2019