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Il palmarès di quest’anno celebra ancora una volta i film dal diverso sguardo
Impegno e nuove forme di narrazione per un pubblico che sceglie il domani

Bong Joon Ho regista della Palma d'Oro, Parasite
Bong Joon Ho regista della Palma d'Oro, Parasite
Il primo pensiero di ordine generale che in qualche maniera condensa il logo metainformativo del Festival di Cannes 2019 è la riconferma di quel’alone carismatico dove si riconosce senza paraventi la qualità cristallina del cinema. Ancora una volta nel panorama internazionale la kermesse sulla Costa Azzurra mette in risalto la dimensione di un punto d’arrivo,il centro basilare dove i racconti cinematografici trovano casa e familiarità qualunque sia la loro provenienza etnica,culturale. Nel suo metabolismo c’è l’invariabile passione che sa rivelare le modalità più insorgenti dentro un film offrendo al mondo il coraggio e il talento molto spesso resi indifferenti ad altre latitudini. In anni che vedono la proliferazione di festival,rassegne un po’ ovunque nei quali premi e menzioni sono riconoscimenti sovente assegnati con sospetta generosità o approssimazione meritocratica,Cannes ribadisce il concetto puro e semplice della scoperta entro cui possiamo percepire la novità di un linguaggio,il barometro geopolitico,la prospettiva della settima arte. Non per caso l’edizione dell’anno trascorso con la garanzia di un palmarès espansivo divenne punto di riferimento per l’identità cinematografica dell’intero 2018. Pellicole quali,Un Affare di Famiglia, BlacKkKlansman, Cold War, Cafarnao,hanno catalizzato il feedback come pure la febbre dei mercati mondiali fino a trasformarsi in protagonisti per le nomination all’Oscar. Non dimentichiamo i riconoscimenti a Marcello Fonte (Dogman) e a Lazzaro Felice che hanno sancito un apprezzamento sincero dopo annate veramente buie e discutibili per il cinema italiano. I premi più recenti sembrano orientare un vento altrettanto positivo,la parafrasi alternativa e controcorrente che alimenta le idee del cambiamento con doverosa riflessione si soffermava sulla solidità di un artista navigato quantomai connesso con le ragioni di un capolavoro. Sta di fatto che Dolor y Gloria di Pedro Almodovar nella parallela competizione delle opinioni aveva l’unanime consenso della stampa di ogni tendenza che prevedeva per la pellicola iberica una giusta consacrazione con la Palma d’Oro. La Giuria presieduta da Alejandro González Iñárritu non ha ignorato il film ma assegnava,strizzando l’occhio come si fa in certi casi,il premio dell’interpretazione ad Antonio Banderas che rappresenta il medium più genuino dello spirito presente in Dolor y Gloria. Invece la Palma d’Oro e gli altri riconoscimenti più importanti cercheranno apertamente l’innovazione narrativa. Il principale andrà a Parasite di Joon Ho Bong,storia ambientata a Seul (Corea del Sud) che compenetra sostanziali lacerazioni sociali sotto l’influsso e nei segni da thriller rivisitato. Una vicenda di tasto contemporaneo e provocatoriamente nuovo che con molta probabilità troverà estimatori e pubblico a livello globale. L’impegno politico,un dichiarato sguardo sulle attuali tensioni e sul versante della marginalità che assoggetta gli individui caratterizza il comune denominatore di alcuni premi. Il Grand Prix ad Atlantique di Mati Diop,l’ex aequo della Giuria a I Miserabili di Ladj Ly e al brasiliano Bacurau,la miglior regia ai fratelli Dardenne per L'Età Giovane,nonostante situazioni e ritmi di trame differenti presentano stessa abnegazione propositiva nel tentativo di diradare le nebbie del presente. Da un lato la pellicola di Mati Diop racconta con talentuosa virtù la vita amara e l’amore contrastato nella Dakar (Senegal) della disperazione,dall’altro vede un viaggio della speranza attraverso l’oceano,il tutto intercalato in aspetti visionari dal netto significato metafisico e morale. Les Misérables è un dramma che rilegge con attualità e pregnante forma di reminiscenza politologica il pensiero di Victor Hugo. Ambientato in una banlieue parigina fra lotte e resistenze,dopo il rapimento di un cucciolo di leone vivrà tutti i tipi di violenza che coinvolgono abitanti e presunti difensori dell’ordine in una feroce messa in discussione dell’integrazione ad uso retorico. Se le etnie sono protagoniste nella storia di Ladj Ly,sarà il rigore della religiosità e dell’emarginazione di esse ad elaborare un'altra pellicola che farà discutere. Il film dei Dardenne osserva il percorso e la scelta dalle sembianze ambigue che porta un giovane musulmano nato in Belgio a radicalizzarsi. Uno stile complessivamente aspro che Cannes 2019 ha accolto con favore,ben sapendo che al meglio dei contenuti saranno gli stilismi dei loro linguaggi a fare la differenza nei film vincitori del festival.
Franco Ferri
31 maggio 2019