Bellocchio: Sotto l’ala del sovranismo
La curiosa storia del Traditore che non vince a Cannes ma passa per trionfatore
Patriottismo mediatico in ascesa per un film che poteva avere un altro trattamento A cura di Franco Ferri Marco Bellocchio regista de Il Traditore Pierfrancesco Favino é il pentito Buscetta Il cinema italiano è sotto l’ala protettiva di una specie di sovranismo della prima ora che fin dal suo apparire ha manifestato un trend culturale chiuso,scarsamente propenso al confronto con le tendenze internazionali quanto arroccato su posizioni di difesa lobbista del sistema. E’ una condizione che adesso si trova nel perfetto agio linguistico di un clima socio politico in ascesa. L’aspetto più paradossale della questione sarà di natura etica,perché Marco Bellocchio viene da formazione schiettamente progressista mentre ora si ritrova circondato e sostenuto dalle fanfare patriottarde che richiamano sempre più da vicino regimi lontani. Il Traditore rivela una condivisione ampia nel paese perché depotenziato di ampiezza deflagrante e nella regola,in fondo non tradisce i suscettibili umori dei proprietari del condominio. Ha evitato l’immischiarsi negli intrecci pericolosi di potere che la figura di Buscetta poteva richiamare togliendo dalla possibile graticola apparati politici tuttora sulla stanza dei bottoni. La trattativa stato-mafia della quale il pentito pare sapesse molte cose viene resa volatile e abilmente declassata nel racconto alla pari del rapporto con il giudice Falcone perlopiù avvolto di rispettosa,reciproca comunicativa. D'altronde il via libera alla produzione Rai sottintendeva una scelta asettica e sterilizzata che ha posto in evidenza soprattutto le tensioni e uno studio psicoanalitico del personaggio,mettendo sicuramente in risalto caratteristiche consone al cinema del regista evitando ortiche e scomodi rovi. Però va ricordato come la pellicola ha perso un’occasione per scostarsi dalla tradizione poco coraggiosa del cinema nazionale di questi anni. Nel nome di Buscetta ci fu un dibattito appassionato e frastagliato che avrebbe fornito ulteriore linfa e maggior contributo di ambiguità al dramma dell’uomo,più in generale sarebbero stati introduttivi alla costruzione di una storia con maggior impegno civile. D’altro canto avrebbe meritato da parte dei media una divulgazione migliore e articolata senza le protesi artificiali che supportano eccessi nazionalisti. Il Traditore nella cifra schiettamente stilistica possiede comunque qualità introvabili nei film italiani del presente. Bellocchio racconta Buscetta scrutando i luoghi profondi della mente,circondata dagli inestricabili reticoli prodotti dai codici di Cosa Nostra,che stratificano turbamenti nell’uomo quando decide di attuare il verbo dell’eresia. La paura suscita nell’attenzione intime soluzioni visionarie,compone un intermezzo paralizzante attuato grazie al giogo mafioso che solleva risposte tempestive e determinanti nelle variabili del pentito. Non dimenticando la puntigliosa direzione degli attori che nella sequenza del tribunale fa catalizzare l’interesse sugli eventi con eccellente resa,attraverso un dinamico feedback,tratto dai verbali di udienza,giammai condizionato dalla burocratica freddezza delle carte. Il difetto che ha frenato la pellicola,a quanto riferiscono critici e opinionisti internazionali presenti sulla Costa Azzurra,è stata la narrazione di una storia con personaggi e fatti molto conosciuti ma di sola pertinenza italiana nella quale all’estero hanno fatto fatica ad intendere certe sfumature. Questa discreta perdita di smalto del Traditore si concentra nella costruzione drammaturgica,di cui accennavamo,che andava perseguita con più rigore e interfacciamento di temi per acquisire una limpida fruizione universale. Con ogni probabilità risiede in tal segmento la svolta che poteva permettere al film di Bellocchio di accedere ai premi di Cannes 72.
2 giugno 2019
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