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Lars Von Trier campione di Fiction
L’originale contraddizione del talentuoso regista danese è pura energia per il cinema

Lars  Von  Trier
Lars Von Trier
La Palma d’Oro al festival di Cannes assegnata qualche anno fa a Dancer in the Dark mise all’attenzione dell’opinione internazionale il talentuoso danese Lars Von Trier. Il suo cinema avvolgente,fatto con camera a spalla pieno di volute imperfezioni coinciso in un montaggio scarno,esaltava un modo originale per rappresentare la realtà attraverso un’ idea estetica bizzarra quanto apparentemente essenziale. Il Dogma,corrente di pensiero cinematografico fondata da cineasti nordeuropei,nella quale il virtuoso Lars può ben essere posto a capomastro,pone con rigore assoluto di stampo quasi religioso il decalogo per realizzare un film. La condizione principale è quella di eliminare tutto ciò che non è necessario davanti alla macchina da presa. Quindi in testa personaggi a pieno cono di luce nell’essenza fisica ed interiore minimizzando l’aspetto scenografico e riducendo ad icona quando non viene abolito completamente lo sfondo naturale, ovvero la quintessenza della prospettiva fotografica. Viene stabilito un passo fondamentale per un cinema senza filtri architettonici o tecnologici che vuol cogliere con immediatezza la verità delle cose.

Immagine da 'Dancer in The Dark'
Immagine da 'Dancer in The Dark'
Buona  parte della critica ha salutato la tendenza impropriamente come una novità. Questa visione viene accettata da tutti coloro che amano l’antico fascino del cinema realista in cui l’obiettivo era visto come specchio ed unico medium di una dimensione scevra. In realtà il Dogma oltre la sua importanza presunta trova terreno fertile come possibile antagonista di un cinema odierno e delle sue evoluzioni,quasi sempre hollywoodiane fatte di fiction ed effetti speciali. Al di là delle guerre di marketing camuffate da diversità culturale in salsa furor religiosa,ci piace sottolineare come nei suoi meandri il cinema di Von Trier è contraddittoriamente privo di semplicità ed immediatezza. Se il racconto va affrancato il più possibile da tecniche narrative ed espressive in modo da evidenziare e caricare l’unico mezzo che comunica con lo spettatore cioè l’intellettualismo,il film ha necessità di una progettualità certo diversa ma altrettanto complessa e edificata che ci allontana velocemente da tutto quello che è reale e tangibile. Difatti l’America,ricostruita in interni a migliaia di miglia dal luogo reale della vicenda in Dancer in the dark, è esempio di costruzione artificiosa per dimostrare una propria tesi ideale ma anche ideologica. Girare la pellicola oltreoceano e fare i conti con la verità delle location reali avrebbe avuto probabilmente un esito comunicativo differente.

La scenografia in ' Manderlay'
La scenografia in ' Manderlay'
Le opere successive hanno accentuato questi aspetti; Sia Dogville che il sequel Manderlay sono espressivamente un concentrato di barocche costruzioni,nella gigantesca opera di spianare la strada alla verità dell’essenziale . Auto che attraversano enormi carte geografiche,case senza  mura i cui abitanti sono a stretto contatto con i passanti delle vie adiacenti abbattono ogni confine e tridimensionalità ma necessitano di esperti tecnici del 3D e del blue-screen. Non di meno si realizza l’apoteosi di ciò che genericamente spesso è chiamata “fiction” odiata e vituperata da chi vede il cinema solo con  schemi preconcetti (addirittura in Italia è sinonimo di solo prodotto tv).Certamente Lars Von Trier ci offre la sua verità, i suoi personaggi malinconici,violenti o violentati,sono testimonianza delle radici dei nostri tempi ma per un gioco paradossale la sua visione stilistica ed estetica assomiglia ad un dogma di fiction in cui c’è bisogno di stravolgerla per poi ricostruirla,la realtà,onde ricondurla ad una verosimiglianza filosofica e morale. Nell’approccio di realizzazione non è molto diverso da certi grandi di Hollywood, fra i quali senza tono di sfida troverebbe un posto al sole e non danzerebbe affatto nel buio.

 

                        2005 © CINEMA & CRITICA