Un gigantesco attacco di pregiudizi cerca di affossare il pensiero del “Codice Da Vinci”
Critici e opinionisti sull’orlo di una crisi di nervi attaccano senza contraddittorio
L’informazione sul film di Ron Howard fra omissioni e voglia di insabbiamento
Una scena da 'Il Codice Da Vinci'
La tesi portante del
Codice Da Vinci ha per argomento un oscuro inganno inteso come dogma univoco e acritico da tramandare nei secoli. Questo sembrerebbe un principio riconoscibile,reale e moderno comunemente accettato nel sistema informativo nostrano. Passata qualche settimana dall’uscita nelle sale del film rimane evidente il gigantesco attacco preventivo ed indiscriminato ad una pellicola cinematografica. Il pollice verso,odioso e strumentale,nei confronti del film di Ron Howard ha seguito i precetti tipici delle culture oscurantiste ponendo ostacolo ad una visione da libero pensiero. Il momento ha suggellato il ritorno in grande stile dell’ideologia al cinema,intesa ad estensione di preconcetti e giudizi,in base all’egemonia e all’ortodossia di un tema trattato piuttosto che all’analisi di più completi e strutturali elementi narrativi e semantici. Questo è stato un segnale eccitante per tutti i nostalgici della critica antidiluviana ben lieti di foraggiare tale operazione. Il tutto ha certamente reso evidente l’incompleta preparazione specifica di molti recensori per affrontare il senso profondo ed arcano insito nel
Codice. E’ pur vero che per la maggior parte di loro,spesso resta impresa ardua la decifrazione efficace di numerosi buoni film; figuriamoci cosa accade quando alla decodifica e valutazione tradizionale si deve aggiungere quella legata alla cultura simbolica voluta dall’asse Dan Brown,Ron Howard. Certamente nel momento in cui al cinema,e non solo,vengono affrontati esplicitamente temi riguardanti storie segrete e poteri occulti per incanto assistiamo a strane chiusure a riccio ed alla minimizzazione dei fatti trattati. L’attenzione viene focalizzata in stile soft e deviata su tutto ciò che non può incendiare.
Rondi commenta al veleno il film di Ron Howard
Nel caso dell’ammiraglia dei media ovvero la tv,il cecchinaggio del
Codice Da Vinci ha proposto dosi di munizioni molto alte. Fra i volti noti Anselma Dall’Olio e Gianluigi Rondi si sono ben destreggiati fra invettive e slogan. Costoro hanno abiurato ogni livello di onesta,magari opinabile,analisi professionale sul lavoro cinematografico. La pellicola è diventata
“detestabile” come pure
“scritta male e noiosa” risultando quelle dichiarazioni incontrastate e naturalmente senza contraddittorio. L’effetto del meccanismo metteva davanti un evidente e poco nobile tentativo di far confusione sullo spettatore velando la discussione sul centro di gravità del film prodotto dal coraggioso Brian Grazer. Però non irritiamoci,abbiamo avuto tanto da sorridere,quando è apparso il volto persuasivo di un noto attore che tout-court ha aperto un siparietto di involontaria comicità,comunicandoci accorato quanto solerte allarme. Ce lo aspettavamo e l’abbiamo sentito perché quel grido
…”Il Codice Da Vinci occupa troppi cinema”,segnalandoci con generoso avvertimento che il film è,
“un pericolo e un ostacolo per tutto il cinema italiano”(!?). Il cinema ci ha sempre insegnato qualcosa e non c’è giorno in cui non manchi occasione di trasmetterci novità basilari. Nel caso di Ron Howard eravamo fermamente convinti che possedesse del buon talento avendo sfornato nel tempo ripetuti successi coronati da nomination e vittorie al premio Oscar. Adesso veniamo a sapere che non erano affatto meritati dal momento che il recensore de
Il Giornale con acutezza davvero extralarge,afferma che l’ex attore della serie
Happy days è da sempre un “
incerto regista di film dal carattere prolisso”. Il
Codice Da Vinci ha stabilito un contatto di non facile gestione anche per due veterane dell’opinione cinematografica come Natalia Aspesi e Lietta Tornabuoni. Traspare dalle loro parole il senso di donne stese sull’orlo di un precipizio nervoso,combattuto con la sola forza di una terminologia giocata fra
“brutto,moscio,inutile,offensivo”.
Anselma Dall'Olio
Non di meno gli input e le speranze di scovare un’illuminata sintesi analitica sulla pellicola,per il lettore sono pari all’inafferrabilità del sorriso di Mona Lisa. Recensire dei film è oggettivamente faticoso e troppo impegnativo,così si è pensato genialmente di realizzare in un attimo il giudizio universale con l’uso dell’applausometro,uno strumento ideale e tecnologicamente corretto che misura alla perfezione il valore di una pellicola utilizzando la durata degli applausi in sala. Questa forma di recensione dilettantistica tempo fa era appannaggio dei fogli di provincia,oggi anche i grandi media la usano. Per Il
Codice Da Vinci pochi si sarebbero spellate le mani a Cannes ? E’ un problema veramente serio. La fretta o forse la voglia di uno strillo insabbiatore fanno titolare sulla prima pagina di un importante quotidiano (dimenticheremo il nome per pudore
),”esce domani ma si teme il flop al box office“.
Le leggi della comunicazione hanno poi fatto il resto e il rituale imponente di afflusso nelle sale che tuttora continua, rende l’idea di un pubblico eterogeneo dagli interessi arcani nonché moderni richiamato da suggestivi percorsi storiografici. Lo spettatore sembra attratto non tanto da generici complotti in salsa gossip,ma cammina con curiosità e sapere volendo dibattere su secolari intrecci fra civiltà e religione,delegando al proprio principio razionale il compito di capire meglio per accettare con nuova energia la verità di un Credo. Nel
Codice Da Vinci è ben presente,al di là del clamore di una tesi che fa discutere,umiltà dal tono pedagogico che ha il carisma di sostenere una tesi accettabile usando gli stili e metodi delle culture simboliche. Un avvicinamento colto i cui intenti non vogliono infrangere la Fede,semmai completarla in un ottica di miglior configurazione e conoscenza per l’uomo contemporaneo. Attraverso basi esoteriche ed uso appropriato dei segni,si possono aprire pagine inedite forse controverse scritte nel corso della tempi. Praticamente nelle codifiche ci sono parole e sintassi di una lingua traducibile in chiaro,anche se non sempre accessibile,che potrebbe ricondurci sulle orme di corretti itinerari del cammino umano,troppe volte offuscato da relativismo e parzialità.
Questo è il motore del
Codice Da Vinci,opera letteraria e cinematografica,ma probabilmente resterà la sottovalutazione e lo snobismo nei suoi confronti,perché specialmente in Italia la materia mitologica e affine,ha sempre avuto peso modesto negli ambienti intellettuali. Nello specifico il film di Ron Howard racconta con buona tecnica narrativa,non una vicenda blasfema che travalica i solidi argini di un thriller in piena ma elabora una fiction che sa svelare con passione l’identità di una possibile verità usando un tessuto di verosimiglianza. La sua ricerca spazia entrando nella dimensione esteriore come in quella dell’interiorità,rivisitate nel fulcro di un orizzonte prospettico che abbia la forza di riequilibrare l’essere in osmosi con le energie universali. Le soggettività dei personaggi centrali (Robert Langdon,Sophie Neveu,Silas) sono completamente aderenti e connesse con gli eventi. Il passato e il presente entrano in fase continua di scontro e confronto con lo scopo potenziale di una riabilitazione da realizzare sia in chiave del quadro collettivo,sia in rapporto dell’intimità psicoanalitica dei singoli. Il professor Langdon,incarnato da Tom Hanks,riprende per tanti versi le similitudini del tormentato e geniale John Nash nell’ottimo
A beautiful mind,rendendo una sorta di omaggio per lo stesso Ron Howard. Il senso della paura,i traumi esistenziali, la caparbietà e le intuizioni sono determinanti per trascinare un personaggio apparentemente distonico verso la rivelazione finale il cui significato mistico potrà elevare l’individuo al cospetto di una ritrovata libertà dello spirito.
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