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The Irishman: L’eclisse dei bravi ragazzi
Divide critica e stampa il film di Martin Scorsese prodotto per Netflix
Estenuante e accademico sembra il trailer esagerato di una futura serie tv

A cura di Franco Ferri

Martin Scorsese e Robert DeNiro sul set di The Irishman
Martin Scorsese e Robert DeNiro sul set di The Irishman
Le misure autorevoli di una filmografia sono spesso riassunte in baluardi iconografici che porgono profondo senso d’immaginario quasi fossero una firma inconfondibile. Alcune tipicità che riconducono a Martin Scorsese hanno fissato nella memoria taluni ragazzi di strada e i loro eccentrici,carismatici metodi di affrancarsi dall’asfalto tortuoso della vita. Vicoli e la via principale del quartiere nella stragrande maggioranza dei casi permettevano due sole alternative del divenire,essere gangster o farsi prete. Nel dilemma ampiamente shakespeariano svolto da un’etnia all’interno del sogno americano,Scorsese raccontava ambiguità con derivazioni drammatiche di autentico pregio rivelando personaggi scolpiti in un gruppo d’interpreti (Robert DeNiro,Joe Pesci) che ora riemergono per soluzione crepuscolare. The Irishman,ultimo film dell’autore di Mean Steets,Quei Bravi Ragazzi,Casinò,affronta il passato di un torbido protagonista ormai in prossimità dell’atto finale della vita; la morte non ottenebra i ricordi li rende vivi,chissà forse forieri di eredità da conservare. Le parole di Fabio Ferzetti sull’Espresso danno al concetto la ragione d’epitaffio,“«The Irishman» è l'elegia per un mondo che muore”. Anche Teresa Marchesi su Huffington Post rimarca l’aspetto,” Apoteosi e insieme il Pantheon funerario del genere che Scorsese stesso ha creato ”,e Federico Gironi,su Comingsoon.it, conferma l’aplomb ricorrente della pellicola affermando, ” Il regista italo-americano celebra il funerale di un cinema e di un'epoca ”. La sommessa discesa della vita nel film non rivelerà affatto una parvenza di stile. L’avanzare della decadenza non presenta lirismo,tantomeno un’acuta prosa di derivazione Proustiana,o qualcosa di simile,che possa survoltare di afflato i capitoli e i troppo dispersivi rivoli della vicenda. Prevalgono enormi facciate didascaliche,divulgative nelle quali i richiami malinconici e funerei non svolgeranno per niente il ruolo di fluida comunicatività dal corpo poetico. Il progetto produttivo non specificatamente rivolto al grande schermo in definitiva si adombra di accademismo,sarà saturo di flemmatico passo per un montaggio finale che calzi comunque per la fruizione paratelevisiva voluta da Netflix. Martin Scorsese nella rimpatriata tra amici si rivolge alla memoria con gli occhi chiusi ma fa emergere déjà vu e stereotipi quanto mai deleteri in rapporto alla presunta natura cinematografica del lavoro. Per sensazione estenuante sembra che la pellicola sia il trailer esagerato di una futura serie da vedere in streaming,ma il medesimo vertigo pare aver attecchito negli spettatori a casa dei quali soltanto il 18% nei primi giorni ha deciso di vederla subito per intero. L’unica sottostoria che può incuriosire è un’altra versione piccante dell’omicidio del presidente Kennedy stretto tra Mafia,investimenti e Fidel Castro. Lo rileva con curiosa determinazione Emiliano Morreale che su Repubblica così esporrà. “ In una specie di auto-Bignami il vecchio regista sembra guardare da lontano. I personaggi non sono più suoi doppi perversi,poi il racconto si amplia,intreccia la Baia dei Porci e la Storia ”. Invece Francesco Alò senza mezzi termini su Il Messaggero dichiara,” Scorsese realizza un interminabile,ripetitivo dramma criminale a tre con lessico,ammazzamenti e bozzettismo già visto ai tempi de «Il Padrino»,ma qui con molta meno profondità ”. Questa storia d’America che vira dal familismo mafioso all’influenza di Jimmy Hoffa (Al Pacino) nella politica,per Martin Scorsese doveva rappresentare una svolta,lo sarà esclusivamente per la ragione produttiva di un budget strapieno investito da Netflix. La major streaming vuol puntare ancora in alto con The Irishman alle nomination Oscar 2020,ma per riflessione allargata dobbiamo considerare che tra la dozzina di titoli fin d’ora in pole position il gang movie è tra i meno dotati per le eventuali statuette. Scorsese oggi dice:“ Netflix ha creato più libertà. Nel cinema tutto è cambiato,tutti riprendono con i loro telefoni,con un cellulare si gira un film e così deve essere ”. L’anziano regista pare pilotato,non lo riconosciamo più in queste parole da neofita,l’artista sperimentatore visto fino a poche stagioni fa ha forse venduto l’anima? La sua attività in effetti si è concentrata su quella di producer a scapito della sagacia raffinata,ipotesi dedotta da quando dovette girare per forza Silence (2016) causa le alte penali di un contratto firmato frettolosamente. Il film era mediocre sminuendo per certo la sua filmografia,risultando un pessimo affare al box office. Tornando su The Irishman e l’impatto con la stampa guardiamo all’altra faccia della moneta che sorride al film. Senza riserve è piaciuto all’Osservatore Romano e nel nome di Gaetano Vallini afferma,” Molto più di una storia di gangster,una sorta di saga epica che attraversa cinquant’anni raccontando i torbidi segreti del crimine”,mentre Chiara Nicoletti de Il Dubbio non ha incertezze nel definirlo,Uno dei migliori film del regista ”. Noi ci auguriamo che Scorsese torni presto al cinema da grande schermo con il rigore e l’estro per i quali l’abbiamo adorato.
12 novembre 2019