All’83°edizione dei premi Oscar vince "Il Discorso del Re". Soddisfazione ma anche dubbi
E’ la vittoria del cinema di una volta per Natalia Aspesi
Matteo Sacchi chiede come fa un film British a vincere a Hollywood
a cura di FRANCO FERRI
Si potrà vederla in molti modi la notte degli Oscar con i suoi verdetti ma non si dovrà nascondere la visione d’insieme che serve a definire le linee di tendenza scelta obbligata per comprendere la cinematografia del 2010. Al di là del fatto che un premio più o meno importante sia andato a questo o quel film è giusto rimarcare che gli Academy Awards abbiano suddiviso quasi equamente una torta di 11 premi per tre film(
Il Discorso del Re,The Social Network,Inception) che guarda caso sono rappresentanti di indicazioni importanti nel mutamento del racconto e dei suoi stili visti in poliedrica diversità. Un’analogia storica incorona
Inception,straordinaria pellicola dal pensiero avveniristico premiato soltanto con Oscar tecnici. Il suo destino andrà associato a qualcosa di simile che accadde all’edizione del 1969, Quell’anno,
2001:Odissea nello Spazio di Kubrick fu candidato a quattro premi ma portò a casa solo quello degli effetti speciali. Il seguito e l’influenza culturale di questo film profetico li conosciamo bene. La stampa italiana ha salutato con un certo piacere la vittoria al miglior film per
Il Discorso del Re che ad una prima lettura dà impressione di un film dal tono conservatore. Si spiegherebbe così l’amabile vendetta su tutte le forme di novità scandita da Natalia Aspesi.“
Premiare Il Discorso del Re è stato come premiare gli spettatori all’antica che ancora chiedono al cinema pensiero,verità e riflessione non costringendoli ad un’amara faticosa tardo adolescenza tra fracassi e gigantismi e occhialini 3D".
Nel film di Tom Hooper però ci sono originali sottotraccia,non propriamente
Matteo Sacchi
secolarizzati,che danno spinta e autenticità giovane alla vicenda. Da
The Social Network ci attendevamo l’exploit per la sua vocazione attuale che storicizza un grande cambiamento epocale. Aveva un regista di talento,David Fincher ma secondo Federico Pontiggia il seme della sconfitta risiederebbe nel fatto che il film,
”si è volontariamente disinteressato della prospettiva sociale,non c’è il mondo in campo lungo ma solo i primi piani di Zuckerberg”. Il critico sta dimenticando che il mondo in campo lungo del film non va visto in una dimensione ottica analogica ma la vicenda si interseca nella configurazione digitale dove un popolo nuovo ma soprattutto comunicante sta trovando e provando un futuro in progress. Il tema della pellicola è questo,quindi i primi piani di Zuckerberg sono casomai l’immagine più prossima di una compenetrazione nuova e interfacciata che agisce da metastoria in tutta completezza. L’articolazione delle opinioni valuta i motivi razionali che spingono un successo,Matteo Sacchi afferma che,
”ci sarà molto da discutere sul come sia accaduto che un film tutto British abbia sbaragliato cotanta concorrenza a stelle e strisce”. A buona memoria ricorderemo che ciò avvenne anche nel 1997. In quell’edizione degli Academy il trionfatore inglese fu con nove statuette
Il Paziente Inglese di Anthony Minghella,(per curiosità,nel cast c’era Colin Firth) film rarefatto ed estetizzante che,coincidenza
,come
Il Discorso de Re faceva parte della scuderia Weinstein.
Ancora statuette per i Weinstein
Esiste un capitolo che ci porta a considerare i newyorchesi Bob e Harvey Weinstein con il loro forte impegno nella produzione e promozione di celeberrime pellicole indipendenti. Negli anni i fratelli produttori hanno collezionato 400 candidature agli Oscar vincendone un’ottantina,uno score ottimale aumentato con il film su King George,che li certifica anche fra i più accreditati fra le possibili eminenze grigie della kermesse Hollywoodiana. A proposito di cinema indipendente,mentre tanto giornalismo cinematografico parla ancora di studios o majors,dimenticando l’anacronismo dei termini,dal momento che queste strutture non ci sono più da oltre mezzo secolo,Emilio Ranzato fa un’analisi attenta su questo tema rilevandone l’evoluzione. “
Oggi i film a natura indipendente che vanno all’Oscar sono in maggioranza”,dice,”
ma c’è una contraddizione nel non voler premiare le tematiche di fondo in quest’edizione”. Avrebbe preferito
Un Gelido Inverno,come pure ha salutato con piacere
Il Cigno Nero definendolo,”
incubo morboso e Polanskiano”. Il premio all’interpretazione,nel bellissimo film di Aronofsky,consegnato a Natalie Portman non va giù ad Alberto Crespi che lo definisce,”
discutibile”. Egli ha idee bizzarre sugli Oscar,è noto che ci voleva mandare
La Prima Cosa Bella.