Claudio Amendola in Suburra
L’importanza della critica come fattore culturale e mediatico per l’analisi di una pellicola cinematografica, delle tendenze che fotografano o anticipano lo status di una società,in Italia ha perso da tempo la forza indipendente del giudizio. Troppe sono le circostanze che hanno teso l’agguato al libero pensiero dentro la lettura di un film,ma in questo c’è un percorso più generale in cui si riflette una cultura rassegnata, desiderosa di servire il potere ed essere pierre remunerata piuttosto di avere a cuore il proprio lettore. Forse questo malessere assomiglia a quello che si adagia nel cuore dei vituperati regimi,i quali però devono mostrarsi in maschera e propensi a finte verità. Quando poi in ballo c’è un film prodotto dalle logiche politico economiche vicine al potere (Rai),il cinema diviene affare di stato perciò l’appoggio del sistema informativo diviene strategico e in gran parte ossequioso. Il caso di
Suburra resta significativo non soltanto per motivazioni legate al box office,l’immagine nel film che vogliono sostenere è quella di storia controcorrente dentro il malaffare romano denominato,Mafia Capitale. Televisioni e quotidiani hanno riempito spazi con ritornelli simili per far breccia
,” Anticipa le turpitudini e i guasti di quella che è stata definita Mafia Capitale”. Scriverà così con dosaggio da slogan Gianluigi Rondi su
Il Tempo. Michele Anselmi del
Il Secolo XIX,si allinea sul materiale pubblicitario affermando,
” Affresco tenebroso nel quale,senza fare nomi,si allude tuttavia a persone reali ”. Purtroppo non siamo dalle parti del cinema d’impegno civile che in un tempo più libero rappresentava,sferzava invettiva contro istituzioni e poteri marci. Il machiavellismo della propaganda fa parlare crossover per nascondere lo spirito qualunquista di
Suburra. Questo è un gang movie in verità piuttosto timido e vago nell’avvicinarsi alla realtà insidiosa della politica corrotta,però fa comodo presentarlo in una certa maniera che vorrebbe riabilitare il cinema italiano ormai ingessato e conformista. Mafia Capitale è un immaginario forzoso etichettato al film da una stampa superficiale per offrire idea di cultura viva,attuale e democratica in una fiction senza pretese di profondità. Nel film non c’è lo spaccato metaforico di un periodo torbido. Marco Travaglio,direttore del
Fatto Quotidiano,forse il personaggio che non t’aspetti,finisce paradossalmente per diventare un
lecchino del sistema (citazione dalle sue fonti) quando la scarsa conoscenza della materia cinematografica gli fa dire per eccesso di conformità strumentale che,
“ «Suburra» è un western metropolitano”,elencando inesistenti,un po’grottesche,faticose somiglianze tra i protagonisti del film e quelli di una vicenda ambigua,terribilmente reale lontana dal film. Stessi clamori agiografici stile provinciale matrice emessi da Alberto Crespi (
L’Unità). Il critico non è nuovo a voler fare il gran ciambellano di corte nel lanciare paragoni altisonanti (ricordate Stanley Kubrick per
Il Capitale Umano ?),stavolta definisce il lavoro di Stefano Sollima
,” Un apologo,un viaggio agli inferi,con una sequenza d'azione (la sparatoria al centro commerciale) davvero degna di Michael Mann ”. Non sarà mai solo,Valerio Caprara sul
Mattino, realizza la recensione più pubblicitaria e carica di retorica che si sia letta da molto tempo a questa parte.”
Claudio Amendola da applausi a scena aperta comunica la forza di un gigante del polar francese alla Jean Gabin o Lino Ventura,così come il politico di Favino o il pierre di Germano possono reggere il confronto con le maschere migliori di «Il Padrino»”. Povero Coppola !
Morando Morandini, un critico selettivo
Nell’oceano di propaganda cerchiamo l’opinione di chi sa entrare nell’architettura in modo obiettivo e multiforme,sembra complicato ma a volte la verità non è un fungo raro. Paolo Mereghetti,critico del
Corriere della Sera,quando si ricorda di appartenere a questa specie verace sa rialzare con coraggio la testa dimostrando autorevolezza da grande quotidiano. Egli dice
.” Una cosa non convince in «Suburra» è proprio che questi due piani (Realtà e Finzione) non si fondono,non collaborano tra di loro ma sembrano costantemente in guerra,in opposizione. E’ una delle grandi sfide del cinema quella di saper ricreare la realtà per forza d'invenzione,per restituire la credibilità. “ Qui c’è tutta l’immagine distonica del film che in tanti non hanno compreso. La perplessità del tema odierno su Roma e corruzione,praticamente non riuscito,viene comunicata con asciutta e determinata sinossi pure dal recensore de
La Repubblica,Paolo D’Agostini.
“ Se attraverso la mediazione di sceneggiatori di rango come Petraglia e Rulli c'è anche l'ambizione di fornire un servizio civile o di denuncia,ammiccando agli sviluppi giudiziari del grande gioco romano,è come minimo velleitaria. È solo spettacolo “. In fondo
Suburra è un prodotto allineato che non dà fastidio a nessuno,anzi un boss ha voluto fare alla prima insieme con i protagonisti la foto ricordo. In effetti nel film alcune sequenze fanno assomigliare il politico mazzettaro ad una rockstar mitica lasciando un tono di elevazione che alcuni potrebbero invidiare ed emulare. Su questo il procuratore di Reggio Calabria mette in guardia da facili prodotti di fiction, sul danno che possono procurare potendosi trasformare in schietta apologia della criminalità nel momento in cui l’immaginario è falso con una storia inventata. Parliamo sempre di critici e speriamo in recensioni veritiere ma un critico,interprete originale,selettivo di un cinema diventato maiuscolo grazie anche al suo lavoro,se n’é andato. Morando Morandini sapeva scoprire pregi e difetti di una pellicola,nelle sue opinioni le parole accompagnavano un pensiero schietto e speciale sia nel film sublime che in quello da stroncare. E’ stato l’unico in un mondo spesso sottovalutato (a torto !) come quello del critico cinematografico ad assurgere a gloria editoriale. I suoi libri e raccolte di recensioni gli hanno assegnato un posto carismatico nel cinema. Un grande attore protagonista.