Sean Penn in una scena del film
A distanza di alcuni mesi,a pochi giorni dall’uscita nelle sale,riusciamo a confermare con certezza di pensiero che il film di Sorrentino era stato giustamente non preso in considerazione dalla giuria del festival di Cannes come invece avrebbe voluto il mondo dell’informazione nostrana. Anzi la presenza nella kermesse è stato un regalo enorme e una pubblicità dagli effetti senz’altro concreti almeno sul mercato italiano. A proposito di marketing la considerevole linea che dovrebbe dividere critica e opinionisti dal territorio promozionale in questo caso ha registrato punte notevoli di intreccio da farci sopra studi di comunicazione. Il film non esalta e dimostra obiettivamente falle aperte ma per i recensori si aprono quasi totalmente spazi di lodi senza peraltro motivazioni articolate delle loro analisi.
Piera Detassis
Molto interessato quello di Piera Detassis su
Panorama,in qualche modo collegato alla forza di gravità della galassia Mediaset,compartecipe nella distribuzione della pellicola.
“il film è una dirompente messa in scena in maschera...la corsa verso l'Oscar potrebbe non essere in salita”. L’evocazione del Golem di tutti i premi non è casuale ed appartiene ad una specie di tormentone già in voga nei promo quanto dispensatore di una virtualità dai benefici taumaturgici. “
This Must be the Place è magnifico” dice Federico Pontiggia
sul Fatto Quotidiano ma poi non riesce a spiegarci la causale di tutta questa bellezza divagando qua e là. Per Gianluigi Rondi sul
Tempo,il regista italiano starebbe rivoluzionando la sostanza stessa dello stile cinematografico,
” Paolo Sorrentino a Hollywood. Per nulla intimorito da quegli schemi così diversi dai nostri e anzi pronto apertamente a contrastarli,sostituendoli con una autonomia stilistica di forte vitalità.” Con uguale misura Roberto Nepoti da
Repubblica sventola bandiera tricolore sentenziando
,” L'italiano Sorrentino riesce a creare un itinerario americano sorprendente,luoghi e persone che abbiamo visto in tanti altri film ma visti con uno sguardo nuovo ”.
Roberto Nepoti
Nel rispetto obbligato di opinioni altrui ci pare tuttavia di intravedere una certa propensione all’eccesso barocco forse avvertendo visibile tendenza ad approfondire con meno intensità e onestà intellettuale i film di provenienza extranazionale. Riaprendo il flashback da Cannes nel maggio scorso,anche Alberto Crespi era sicurissimo e tifoso del film,ora invece apre una riflessione sull’
Unità che ci porta su un versante sovente ignorato dai media nostrani.
“A Cannes secondo i pareri dei colleghi stranieri,“This Must be the Place” non aveva sorpreso quasi nessuno,(molti giudizi negativi)
al punto che se l'italianità del suo regista fosse stata taciuta tutti l'avrebbero preso per un «normale» film americano indipendente. Insomma,se originalità c'era,nel film di Sorrentino,non è arrivata. E l’America del film l'avevano già vista tutti “. Invece di sana pianta Natalia Aspesi vuol venderci una bugia enorme sostenendo che al festival francese,
” la stampa straniera ha molto lodato il film di Sorrentino”,ma
Repubblica ha solitamente un cuore grande che batte verbo acritico nei confronti del cinema domestico.
Giorgio Carbone
“Ci sono tocchi di fiaba surreale alla Tim Burton nel film”, la sorprendente affermazione è di Alessandra Levantesi Kezich (
La Stampa) ma non riusciamo a comprendere dove sia la parentela sostanziale con le storie del regista americano da qualunque parte ci giriamo. A meno che la somiglianza con il trucco facciale portato da Johnny Depp in
Edward,mani di forbice (appunto di Tim Burton) divenga specchio ingannevole. Molto più smaliziatamente
The Hollywood Reporter si soffermò su Sean Penn,scrivendo che quel make up,così ingombrante e somigliante,faceva molta parodia. L’attenzione sul protagonista è diretta per Giorgio Carbone
,” Sean Penn è uno dei peggiori attori del mondo se gli tocca recitare una persona normale,ma tra i migliori se gli danno un "eccentrico''. Questo doppio peso ha senso nel controbilanciare un evidente significante politico. L’attore ha caratterizzato ruoli sociali nei migliori anni della sua vita artistica ma non possono piacere al critico di
Libero quotidiano che,restando nell'immaginario cinematografico,vede come l’aglio per il vampiro il progressismo sostenuto da Penn. Carbone lo preferisce in salsa italiana,vera normalizzatrice,di
This Must be the Place che sa dispensare una melliflua moraletta anti rock.