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Gary Webb: L’uomo che fece tremare la Cia
La Regola del Gioco: Negli anni 80 l’agenzia Usa trafficava la droga
La tragedia di un giornalismo coraggioso appassiona e divide i critici

A cura di FRANCO FERRI

Jeremy Renner interpreta Gary Webb
Jeremy Renner interpreta Gary Webb
La Regola del Gioco
è un titolo italiano di routine senza fantasia che richiama in mente film del passato come Le Regole del Gioco (2007) di Curtis Hanson e soprattutto duplica con qualunquismo becero quello celeberrimo,La Regola del Gioco (1939) di Jean Renoir. Sarà per la consueta voglia di banalità che regna fra i distributori quando si tratta di proporre al pubblico italiano un film sofisticato ma certamente l’adattamento fedele al titolo originale Kill the Messenger avrebbe reso perentorio il caldo clima intorno ad un giornalista scomodo. Gary Webb,cronista sui generis di un piccolo giornale californiano,viene portato sulle tracce di un’inchiesta da rabbrividire. Il fatto vero accaduto negli anni ’80 porta in superficie gli enormi traffici di droga che cominciavano ad essere business di enorme portata e proprio per questo balzano all’occhio delle strategie politiche della Casa Bianca. In quel periodo il traffico stupefacente a Los Angeles è gestito,protetto in compartecipazione con la Cia che riciclerà i proventi nell’acquisto di armi per i Contras contrastando l’insurrezione del Nicaragua. Il giornalista lavorando su tutto ciò ebbe una buona eco mediatica a livello nazionale ma la sua condotta investigativa di ottimo professionista dava fastidio all’establishment come pure agli interessi editoriali del suo giornale. Cominciò una lotta sordida per delegittimare all’opinione pubblica il suo lavoro cercando di infangare la vita personale di Webb e tentando di rendere ambigua la verità cristallina che il reporter voleva far emergere. Nel film troviamo un grande spirito civile e di denuncia che il cinema americano non disdegna mai anche se il terreno circostante non è più favorevole come al tempo di Sydney Pollack. Jereny Renner,interprete del giornalista Gary Webb,afferma con amarezza ,“Il giornalismo vero, quello che investiga le contraddizioni della nostra società oggi è relegato in fondo ai quotidiani o ai siti web". Nell’oggi insabbiatore questi film lasciano maggior indifferenza nel grande pubblico rispetto a prima,pur testando negli opinionisti sensibili vibranti impressioni. Domenico Misciagna di Comingsoon.it dice,” Ricorda nelle intenzioni lo spirito dell'immortale «Insider» di Michael Mann,sospeso tra film di denuncia e dramma privato ”.

Giorgio Carbone
Giorgio Carbone
Kill The Messenger se non altro rilascia una regola di stile per Malcom Pagani de Il Fatto Quotidiano che vede nei movimenti nervosi della cinepresa “ La fotografia dello spaesamento di un uomo impossibilitato a trovare equilibrio tra la sfera pubblica e quella privata ”. Massimo Bertarelli del Giornale va a ruota libera,” Girato come un thriller,il film convince nella parte relativa all'inchiesta, meno in quella famigliare. Peccato,poi,per il finale rinunciatario ”.Con ogni probabilità il critico si riferisce agli ultimi minuti che suppliscono ad una parte espressiva cronologica con l’intervento di sole didascalie ma il lasso temporale è genericamente ampio. Maurizio Porro (Corriere della Sera) si sofferma sul valore del regista, Una grande storia sulla piccolezza umana che il regista Michael Cuesta,usando anche pezzi documentari,ambienta in interni da front page,come dal suo ottimo curriculum seriale «Homeland»”.Giorgio Carbone di Libero manifesta con amarezza la difesa di un lavoro come quello del giornalista,baluardo di libertà e verità,ma la vicenda tragica di Gary Webb è propedeutica ad un’analisi comparativa con due epoche diverse di intendere i mass media.” Webb, uno che alla fine del secolo credette di poter vivere e operare come i grandi degli anni cinquanta e sessanta,i Cronkite,gli assi del quarto potere con il culto della notizia,che doveva comunque esser mandata in stampa anche se era sgradita al partito,a Wall Street,magari anche al datore di lavoro ”. Sono tutti presi da questa storia umana e professionale e in crescendo Natalino Bruzzone su Il Secolo XIX, “ Il suo calvario è reso da un thriller implacabile,avvincente e avvolgente che trova il noir nelle redazioni infide e gelose,pronte a non reagire alla vergogna che i termini crack e sicurezza nazionale lasciano trasparire. Francesco Alò de Il Messaggero guarda all’ambiguità fosca del film. Mitomane o vittima dei poteri forti? Negli Stati Uniti il dibattito è ancora infuocato. La pellicola prende posizione a favore del protagonista “. Nonostante un forte consenso opinionistico c’è qualcuno a cui La Regola del Gioco non è andato giù,Valerio Caprara scrive su Il Mattino“ Che film se non brutto,terribilmente ovvio ”,perché secondo lui resta appiattito in una logica commerciale. Però il film,che ha i connotati da indipendente,non ha affatto avuto risposte positive al box office avendo incassato negli Usa la ridicola cifra di due milioni e mezzo di dollari. In ultimo vogliamo ancora  lasciare la testimonianza interessante di Jeremy Renner,che da questa esperienza invoca il trasporto del pubblico in ossequio alla natura bivalente di un film. “Spero che il film inciti al dibattito,spinga gli spettatori a parlare di quel che è accaduto. Il cinema è intrattenimento,lo faccio per questo la mia carriera lo dimostra, ma se qualche opera contiene anche una scintilla capace di alimentare la conversazione e stimolare il pubblico allora la settima arte può diventare veramente importante e uscire dal confine del solo divertimento”.
28 giugno 2015