Primo Piano
Crossfire
Film Joker
Box Office World
Premi & Festival
Trova Cinema
La Vetrina
In Sala
Scrivici
Cesare non muore a Rebibbia
Dopo l’Orso d’Oro per il film dei fratelli Taviani è un tripudio di nazionalismo
Comprenderlo nel profondo diviene uno snervante esercizio straniero

A cura di FRANCO FERRI

Gli attori provano 'Cesare'
Gli attori provano 'Cesare'
All’Indomani della premiazione berlinese che ha sancito la vittoria del film dei Taviani,i titoli dei quotidiani hanno rieditato la famosa formula del nazionalismo coinvolgendoli uniformemente al di là delle logiche di appartenenza. Prima del legittimo richiamo all’evento cinematografico c’è il nome dell’Italia la veloce  panoramica della rassegna stampa,un po’ per gioco,un po’ per grottesca traslazione,riporta alla memoria gli stili di un’epoca tornata di moda. Se La Repubblica urla “A Berlino vince l’Italia”risponde Il Messaggero con “Vittoria tricolore in Germania” mentre per Il Giornale è “Zampata dell’Italia su Berlino.” Le vittorie calcistiche sono l’evocazione più classica ma non disdegnano raffronto con l’enfasi dell’era fascista e in questo caso il palmares al miglior titolo littoriale potrebbe andare al Fatto Quotidiano con l’avvolgente “L’Italia ruggisce a Berlino”. Il redivivo asse Roma – Berlino trova brividi caldi in Irene Bignardi di Repubblica che non ha dubbi,“ Cesare deve morire,doveva vincere. Ed è importante che abbia vinto in quell'isola di globalizzazione intelligente che rappresenta la Berlinale nella Germania della signora Merkel ”.

Irene Bignardi
Irene Bignardi
Claudio Siniscalchi dal Giornale se la va a prendere addirittura con la stampa tedesca rea di aver avuto dubbi sul verdetto festivaliero,“ capiscono il nostro cinema solo se c’è la mafia” e rimprovera di inconsistenza la produzione teutonica recente. Si dimentica colpevolmente che negli anni duemila il cinema germanico ha ottenuto nel massimo premio mondiale (Oscar) ben due vittorie e altre quattro nominations. Nanni Moretti getta acqua sul fuoco,risponde lapidariamente all’orgoglio guerriero riportandoci all’oggetto in discussione.” Al Festival di Berlino non ha vinto il cinema italiano ma il film dei fratelli Taviani “. il regista romano ha molto a cuore Cesare deve Morire perchè la sua società lo distribuisce cercando onorevole piazzamento nel box office. L’arte del vincere invece fa ottenere inchini impensati,Luca Telese salendo sul carro trionfante vuol dare una mano alle prospettive del film,”chi mai può rischiare di mandarlo in sala ? Chi rinuncia a un filmetto americano cretino e iperpubblicizzato per cine – Rebibbia ? La troppa fretta di presenzialismo non concede tempo per un doveroso aggiornamento all’intrepido Telese. Dovrebbe sapere che oggi i filmetti super invasivi nei media e nelle sale sono solo e soltanto quelli italiani,i veri oppositori per insipienza e anti arte ad un’efficace programmazione di Cesare.

Luca Telese
Luca Telese
Paragonato al cinema commerciale e di finto autorato,auto referenziale di continuo,la vittoria dei Taviani è una botta in testa per tutto quell’ambiente nazionale produttivo ed informativo che è sempre sedotto davanti ai modelli del piccolo schermo e che non sa più ragionare in termini cinefili considerandoli con disarmante pressapochismo. Nella costruzione dei personaggi da Cesare a Cassio troviamo un inusitato lavoro di ricerca stilistica,straniero nel cinema italiano odierno,ce lo ricorda mettendo in evidenza il passo quasi ermetico Alberto Crespi dell’Unità,” ai fratelli Taviani riesce un miracolo: calare i versi del Giulio Cesare nella quotidianità dei reclusi di Rebibbia,come fossero i loro pensieri,il loro inconscio,la loro vita “. Paolo Mereghetti nel Corriere della Sera non concede alibi ai sostenitori di un realismo tradizionale,“ Non possiamo mai dimenticare che stiamo assistendo a qualche cosa di non realistico,di non documentario,ma proprio per questo siamo più disposti a lasciarci andare all'emozione “.

 I fratelli Taviani
I fratelli Taviani
Beatrice Bertuccioli sul Giorno sostiene una tesi singolare sul film dei Taviani, “Somma la potenza dello Shakespeare del "Giulio Cesare",liberamente riadattato,alla forza interpretativa di detenuti ed ex detenuti di Rebibbia. Individuare e definire un’estetica particolare come quella cinematografica attraverso una risultante di modelli sommati e sovrapposti è una deduzione retorica quanto grossolana. In Cesare deve Morire emerge lampante un’osmosi (non è un’addizione) di aspetti espressivi variegati che favoriscono la scoperta dell’arte tout court rappresentabile in un modello di originale comunicativa. Sul Sole 24 Ore Cristina Battocletti scrive,” È bella la docufiction dei fratelli Taviani,intensa in quel bianco e nero che accentua la poesia dei volti induriti. Unico neo: i frammenti di vita privata,inseriti qua e là nel dramma. Le parole di Shakespeare bastano infatti a rendere la quotidiana discesa agli inferi dei detenuti “. In questo caso non possiamo accettare una sottrazione che svilirebbe la profondità dell’impegno nel modellare le carature degli interpreti. Se cancellassimo i frammenti di vita degli individui toglieremmo di mezzo la genesi che lega gli attori a quel particolare palcoscenico aggirando e confondendo il percorso d’identificazione ancestrale con i ruoli preparati da Shakespeare.Anche qui risiede un puzzle della complessiva unicità del film.