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L’eredità di Sergio Leone
Il ritorno di “C’era Una Volta In America” mostra lo spirito di un film senza età
In Italia nessuno sa esprimere la modernità universale del regista

La riedizione nelle sale italiane di C’era Una Volta in America non ci concede la solita,invariata strofa celebrativa sul cinema del passato. Il film di Sergio Leone rivisto in un altro contesto,quindi esposto ad un inevitabile confronto con l’evoluzione del cinema,mostra nella sua fisionomia strutturale una perfetta lezione di racconto ad incastro dal quale le svariate scansioni temporali fanno emergere,anzi comunicano,un’idea di realtà surreale quasi metafisica. Immagini,suoni,rumori,piccoli dettagli vengono fusi e sviluppano nelle situazioni una dimensione del tempo soffusa,quasi indeterminata che travalica la vita,la decadenza,la morte degli uomini e delle cose riabilitandone i loro valori eternamente mitici. Durante la proiezione qualcuno trasportato da questa folgorazione potrebbe chiedersi,senza per ciò esser accusato di ingenuità,se il film sfiori veramente i trent’anni. Non c’è dubbio che nelle ultime stagioni il modo di surrealtare i linguaggi è stata caratteristica degli autori più in voga. Elaborare i personaggi,sviluppare il senso iconografico di un affresco (prendiamo in prestito volentieri un lessico dell’arte) per rappresentare l’essenza del mondo è divenuto non un gioco ossessivo ma un rituale comunicante di alto spessore.

Robert De Niro è Noodles
Robert De Niro è Noodles
Autori come Christopher Nolan e David Fincher hanno portato al successo,usando lo stesso spartito,temi una volta di esclusivo riferimento e percezione intellettuale. Sergio Leone sotto questo punto di vista è stato un pioniere e il film con De Niro,parimenti alla sua architettura narrativa,diviene un prototipo di filmografia senza età. Una storia interfacciata in tanti aspetti che oggi potremmo chiamare senza remore con un termine,digitale,traduzione non solo di una tecnologia in voga ma riproduzione sequenziale di un enorme bagaglio di pensiero. La nuova edizione,con l’aggiunta di oltre venti minuti,ci suggerisce un’ipotesi sul progetto di final cut che Leone e i suoi collaboratori andavano cercando. In verità le sequenze ritrovate impongono al film in alcuni capitoli uno stile un po’troppo didascalico e probabilmente saturo di orpelli. Il fatto che l’autore le abbia scartate confermerebbe come nel montaggio abbia prevalso la scelta di accentuare quel linguaggio di surrealtà eliminando il superfluo,sottolineando attraverso alcune dinamiche vagamente astratte i riflessi di una sintassi dai toni misteriosi scanditi con eventi fatali. Anche questa indirettamente è una lezione di cinema. La modernità di Leone,la sua universalità restano a tutt’oggi un’eredità mai recepita in Italia se non a parole. Ricordi e celebrazioni girano intorno al nome del regista romano ma nessuno sa carpire il segreto del suo lavoro a parte l’imitazione degli stereotipi. Gli stessi che lo citano con autocompiacimento,poi nei loro film rivelano un‘idea di cinema straniera al grande autore,quanto sottolineata da schemi analogici e vecchi che non sanno comunicare.

L’America di Leone si ama,si detesta,si mitizza e anche se non ti ricambia sarà sempre dentro di te (Noodles e Deborah). Il tempo non lo ha sfigurato,ora la terra madre che lo ha allevato a film sa ricambiarlo amorevolmente. Il lavoro e le idee di Sergio Leone sono senza confini,geografici e temporali,appartengono a chi vuol far del cinema un posto del cuore.

Franco Ferri