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Iñárritu ci porta dove confinano terra e cielo
Revenant – Redivivo non è western, non sembra un’epica ma offre molto più
Un viaggio doloroso in cui sopravvivere diviene conoscenza oltre se stessi

Leonardo DiCaprio in Revenant - Redivivo
Leonardo DiCaprio in Revenant - Redivivo
Un film di Iñárritu non si addice facilmente a convenzioni e formule preconfezionate. Contestualmente Revenant – Redivivo fa ricadere i media nella stessa trappola ricattatoria che prevede comode catalogazioni per un film assai lontano dal’uniformità dei generi. Abbiamo notato accostamenti troppo rigidi ma sostanzialmente esili quando si vuol denominare il film con Leo DiCaprio,un western,oppure trascinarlo nel ritorno dell’epica e addirittura coinvolgerlo nei meandri spettacolari di un’avventura da frontiera americana. Uno dei messaggi più trascinanti e colmo di pensiero ponderante che l’autore di Birdman evidenziava nel suo penultimo film,era l’eccesso di etichette e massime retoriche da parte del mondo giornalistico per descrivere la comunicazione di un’opera artistica,sia essa fosse messa in scena teatrale o lavoro cinematografico. Esiste propensione maggioritaria a sovraccaricare di considerazioni superficiali e preconcette l’esperienza di tanti artisti evitando il coinvolgimento mediatore,più faticoso,di saper cogliere la verità dentro il contenitore sostanziale presente in una narrazione. Stona la definizione di epico per un film in cui il personaggio principale,Hugh Glass (Leonardo DiCaprio),è descritto da capitoli destrutturanti della propria condizione che hanno niente in comune con l’ideale eroico affine ai classici racconti epici e leggendari. Altrettanto difficilmente possiamo far convivere la dura storia simbolica con il rigore di un west cinematografico,tuttalpiù vagamente toccato da location dell’ottocento americano con cacciatori di pelli e nativi del territorio,quelli che ai tempi di John Ford li chiamavano Indiani. Queste precisazioni sono fondamentali per evitare equivoci interpretativi intorno a Revenant – Redivivo,la peculiarità principale piuttosto che nelle ansiolitiche difficoltà erette dall’ambiente circostante va ricercata nella soggettività del protagonista tesa a difendere l’esistenza sul millimetrico filo tra la vita e la fine. L’aspetto con cui Glass guarderà il rapido cambio di habitat spinge ad immergerlo in una condizione disperata nella quale ostilità e perseveranza assumono,accavallandosi e invertendo polarità,stesso quoziente di aderenza psicofisica al sopravvivere. L’uomo e la natura si comprimono,espandono assieme un’energia che non va commisurata con le linearità strutturali di tempo e spazio alle quali siamo abituati a convivere dalle regole,ma divengono una forza presente per quanto di informale consistenza che sarà la prima ancora verso qualcosa di nuovo. Il percorso che porta alla conoscenza il disperato DiCaprio instaura altresì una dimensione della fisicità molto vantaggiosa per non farsi inghiottire dagli eventi e se lo spettatore riesce a focalizzare i passaggi di questo punto di vista potrà apprezzare senza reticenze il viaggio segreto offerto da Iñárritu. Nondimeno il film rientra nei canoni più amati dal regista messicano,dopo l’escursione multiforme e prospettica nel caos del vivere attuale offerta da Birdman,ritorna agli stilemi che abbiamo conosciuto in Amores Perros,passando per Babel dove la costruzione antropologica si fondeva metodicamente con il circostante innalzando un excursus drammatico di piena efficienza metafisica. Quest’ultima parola potrebbe esprimere al meglio la sintesi informativa di un genere ma il verbo sottintende molte dosi di espressività astratta che spesso purtroppo sfuggono a molti. Anche in questo caso Alejandro González Iñárritu predilige un affresco in cui la fotografia ha la parte del leone con tonalità grigie che sfumano rendendo simili e paritari cielo e terra. Fauna e uomini sembrano avvolti da uguale radice originaria e uniti da medesima animosità bestiale mettendo in gioco la metafora più luccicante del crudo cammino dell’evoluzione. Tutta la pellicola è pervasa da un filo impressionista che dà alle immagini in movimento la stessa intuitiva folgorazione di osservare un quadro di arte informale.
Franco Ferri