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89°Oscar: Il doppio finale che rimarrà nella Storia
Prima La La Land, poi Moonlight: Il miglior film sull’onda del thriller
Si confermano verdetti impegnati e Trump scopre il potere dell’opposizione

Il Momento della Verità: Moonlight Miglior Film
Il Momento della Verità: Moonlight Miglior Film
Quella targata 2017 verrà ricordata come un’edizione memorabile,e di film notevoli c’era solo l’imbarazzo della scelta,ma lo spirito del cinema colui che sovrintende impalpabile al rito del Dolby Theatre ha voluto superarsi con un sorprendente epilogo da provetto burattinaio. L’annuncio di Faye Dunaway dopo il passaggio di mano della busta da parte di un imbarazzato Warren Beatty gridava al mondo che La La Land era il miglior film dell’anno conquistando così la settima statuetta. Come un fuorigioco segnalato che annullava il gol del trionfo,uno dei vincitori richiamava tutti alla verità (vedi foto) facendo salire sul palco i produttori di Moonlight al quale andava d’inverso l’Oscar di miglior film. L’errore palese al contrario lascerà a tutti noi davanti all’evento impressione che la Notte più trasognata dagli amanti di cinema aveva avuto in dono una marcia in più grazie ad un imprevisto fuoribinario. La cerimonia che onora l’arte cinematografica portava in dote un’invisibile filo di colta cinefilia,poco prima quanto mai impensabile,una sceneggiatura fantasiosa piena di suggestivi riferimenti e pellicole epiche con quel doppio finale in cui è riuscita a suffragare lo show implementando la realtà romanzesca oltre i crismi del genere thriller. La presenza di Warren Beatty e Faye Dunaway sembrava non casuale,lei gelida interprete di ruoli femminili risoluti e ambigui,lui autorevole quanto eccentrico se non irresistibile in trame sconvolgenti. Tutti e due complici struggenti in Bonnie & Clyde che divenne mitico per rapine e colpi sensazionali. Il doppio riconoscimento a Moonlight e La La Land,perché dal punto di vista mediatico questa è la risultante percepita andando fuori regole e logiche stabilite,ha svolto le credenziali di qualcosa al di là di una semplice premiazione. Resta il fatto che i due film erano di qualità superiore ma l’ex aequo non viene previsto dall’Academy. In ogni caso il film diretto egregiamente da Damien Chazelle porta a casa sei Oscar divenendo di fatto dominatore in questi 89°Academy Awards e Moonlight di un regista,esordiente talentuoso al lungometraggio,Barry Jenkins,riuscirà a prendersi anche quella della sceneggiatura adattata insieme a quella del miglior attore non protagonista,Mahershala Ali. Sicuramente anche quest’anno sono emerse produzioni di un certo impegno,al pari di quelle degli anni passati concedono all’Oscar un passaporto di grande ventaglio culturale che va ben oltre condizionanti cliché dell’entertainment. Prendiamo le due statuette a Manchester by the Sea per capire come un film sulla carta debole per le grandi cifre,estremamente pessimista che descrive la vita in maniera esistenziale senza convenzioni adulatorie riesca ad ottenere netti consensi al box office. Però la filigrana più autorevole che ha pervaso tutti gli angoli di questa Notte degli Oscar fa riferimento al fattore politico. Si è svolto un duello a distanza scintillante tra gli uomini del cinema con le loro opere e il Presidente Donald Trump,che senza mai essere nominato è stato oggetto di polemica molto forte. Prendiamo l’ironica gag,monologo del presentatore Jimmy Kimmel,davanti a Meryl Streep l’ha apostrofata di epiteti imbarazzanti e negativi,l’oggetto del contenzioso grottesco era una dichiarazione passata di Trump che in vena di giudizi da critico cinematografico poco avvezzo sparò a zero sull’attrice. La Casa Bianca poi se l’è andata a cercare con quei continui indirizzi anti libertà contro stranieri e religioni altrui che ricordano le leggi razziali di famigerata ascendenza nazifascista. Indirettamente il neo presidente può essere contento nell’aver senz’altro indirizzato in qualche modo i verdetti. Il pianeta Hollywood ha cominciato a ribellarsi attraverso il proprio modo di pensare artistico e concepire i mondi liberi. Tutto il contesto ha per certo influenzato il premio di miglior film straniero all’Iran,Il Cliente di Asghar Farhadi,regista che in contrasto con il liberticida regolamento verso il suo paese ha preferito non andare a Los Angeles. Un Premio Oscar ha un potere superiore rispetto a qualunque decisione di governi e istituzioni,la sua energia permea l’opinione pubblica mondiale in ogni strato,quello che comunica nel messaggio implicito si può rivelare carico di enorme efficacia nel formare le coscienze. Donald Trump comincia a scorgere opposizione molto più determinata e autorevole di quella politica,il potere dell’arte contro quello centrale potrebbe divenire un leitmotiv del prossimo futuro dove il cinema può sostenere la straordinaria forza del sentirsi liberi.
Franco Ferri
28 febbraio 2017