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Jung pioniere del cinema moderno
Il legame tra psiche e immagini del divenire in “A Dangerous Method“
Al centro del film le metamorfosi dell’anima che cambiarono il mondo
Agli opinionisti distratti Cronenberg non interessa..."sembra un Visconti minore"

a cura di FRANCO FERRI

Alessandra De Luca
Alessandra De Luca
Non è una provocazione,ma Carl Gustav Jung con il suo spirito innovatore può essere incluso a buon diritto fra i pionieri del cinema moderno. I suoi studi psicoanalitici hanno dato priorità alle immagini provenienti dalla sfera intima ponendole innanzi ad un gioco raffinato che ha sublimato l’essenza dinamica del divenire. Il cinema più evoluto di oggi ha saputo dimostrarsi adatto nel saper entrare dentro una sfera espressiva ancorata alla natura e alla sostanza stessa degli individui,in un’eccitante accensione omologa dei procedimenti adottati dallo studioso svizzero,motivando lacerazioni,accompagnando suggestioni profonde agganciandole con il resto del mondo. Le metamorfosi sono la linea completa che fotografano la propensione al trasformare le sembianze nascoste in un progetto compiuto. Cronenberg continua a rappresentare in filologia con il suo dna i processi mutanti,siano essi quelli dei corpi,della materia circostante o del camaleontismo etnico. Non dimentica che tutto ciò risiede nell’alveo più complesso,la mente e il lavoro odierno risale la fonte di tutto il magma. A Dangerous Method osserva con umiltà l’origine culturale e metodologica del lavoro sulla psiche,non è affatto una digressione,volge semmai sguardo e attenzione quasi accademica verso un enorme serbatoio che ha dato avvio al XX°secolo e alla modernità tout court.

Carl Gustav Jung e Sabine Spielrein in 'A Dangerous Method'
Carl Gustav Jung e Sabine Spielrein in 'A Dangerous Method'
Nella sua vocazione a sviscerare l'animo dei personaggi con la freddezza del vivisezionatore”,scrive Alessandra Levantesi Kezich su La Stampa e prosegue,”qui si direbbe che il regista canadese abbia deciso di ripartire da zero. O meglio dall'inizio,quando in un mondo ancora formale,illuso di un'idea continua di progresso,si affacciarono due rivoluzionari,l’'ebreo e il protestante, il razionale e lo spiritualista”. L’interesse di Alessandra De Luca su Avvenire si concentra sul centro del film,” La materia è decisamente calda: il regista,da sempre attento ai demoni che strisciano sotto la pelle dei suoi personaggi,risale alla fonte del disagio e del malessere esistenziale,quasi ad analizzarne l'origine. Le opinioni dei critici uomini sembrano meno riflessive,adombrando il sospetto che l’attenzione alla storia sia stata molto fugace. Prendiamo le parole di Fabio Ferzetti del Messaggero.” Un film su commissione. Soprattutto non sceglie un punto di vista preciso, mantenendosi equidistante dai personaggi (e dal contesto storico) fino a rendere tutto nitido e distaccato ma non molto coinvolgente” . Le sottigliezze della psicoanalisi e il grande affresco tematico non si addicono a Alberto Crespi dell’Unità che è attirato soltanto da costumi e arredi d’epoca,” Poi vedi il film, e sembra un Visconti minore... proprio questo è A Dangerous Method,belle immagini,ottimi attori,cura formale persino esagerata per uno come Cronenberg che ci ha abituati a immergere la pellicola nelle viscere e nel sangue”.

Gianni Rondolino
Gianni Rondolino
Per Valerio Caprara del Mattino il metodo scientifico che coinvolge profondamente nei meandri della sessualità i protagonisti è un optional non fondamentale .”Si aspetta un film dell’'estremo provocatore David Cronenberg e si scopre un report qualsiasi sul rapporto a tre intercorso alla vigilia del primo conflitto mondiale “. Deduciamo da tutte le opinioni selezionate una serie di atteggiamenti minimalisti che riescono ad evidenziare solo aspetti storicisti e di contorno ma Cronenberg diversamente,ed è sempre lui,svela prospettiva di metastorizzare l’intera vicenda,cogliendo una sintesi dal valore attualizzante oltre l’iconografia decorativa riflessa dallo schermo. La relazione adrenalinica fra Freud,Jung e la Spielrein trova identità con il cinema tipico del regista canadese,fatto di connessioni semantiche asimmetriche,e andrà decodificata con la profondità visionaria di determinati capitoli proposti. La realtà convenzionale non c’entra niente,mantenere questo atteggiamento significa equivocare il film nel terreno di soluzioni didascaliche che non gli appartengono. Ce lo dimostra Gianni Rondolino dalle pagine della Stampa.” Ciò che ci vorrebbe è una visione critica della realtà,attraverso cui e i fatti e l personaggi,siano essi veri o inventati diventano elementi fondamentali per un coinvolgimento tanto passionale quanto intellettuale ”. In uno scenario poliedrico fatto di tante realtà,Il film è calato in un punto di vista reale autorevole,introspettivo e tumultuoso,non averlo compreso dà impressione che il recensore abbia frainteso il regista o nel peggiore dei casi si senta coinvolto staticamente in dispute cinefile di molti decenni fa senza tener conto di oggettive evoluzioni succedutesi nel linguaggio dei film.