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Blackhat manda i critici a scuola di software
Il film di Michael Mann miscela le realtà verosimili con l’abilità informatica
Algoritmi e cinefilia formano un nuovo linguaggio ancora poco praticato

A cura di FRANCO FERRI

Chris Hemsworth in 'Blackhat'
Chris Hemsworth in 'Blackhat'
Sin dal titolo,Blackhat mostra una connessione molto precisa e rituale con il mondo dell’informatica traendone le coordinate più vicine che rispondano ai quesiti quotidiani senza per questo dimenticarsi del format cinematografico. Nel particolare il blackhat è una parola che nel glossario tecnico indica personaggi e concetti di attacco nefasto dentro un sistema con volontà di modificarlo unilateralmente. In effetti tutta la storia viene concepita intorno a una gigantesca speculazione coperta da scenari di convenienza,dettata da nascoste potenze mondiali e sulle molteplici possibilità di contrattaccarla con le stesse armi usando tecnologia,software,algoritmi che solo menti ingegnose e superiori possono gestire al meglio. La caratteristica profonda di Michael Mann: Esplorare in maniera ardita a modo di sequenze dal carattere anarchico le oscurità umane che danno pulsione e accelerano la filigrana vitale. Viene in mente subito Collateral ma pur nella differenza tematica,Insider,Heat- La Sfida e Manhunter mostravano segni comuni. Il film odierno elabora ed evolve agli attuali sistemi l‘ambiguità politica che esprimeva Insider ma da allora le reti,il web e la cultura informatica hanno cambiato lo stile del pianeta rendendo ancor più faticoso per l’opinione capire quali siano i capisaldi giusti. Individui e società sono al centro di Blackhat con la trama di un thriller sicuramente avvincente tuttavia non sono in ballo la bontà o le idiosincrasie di un action movie ma la visione di uno sguardo overlook. Michael Mann intesse il tutto con arguta aderenza di stampo filosofico come se questa civiltà fatta da nuova tecnologia,con le sembianze impalpabili e simboliche dei numeri,esprimesse gli albori di una volontà dell’anima,dagli influssi sia negativi che positivi quindi con efficacia pratica nel creare potere sulle cose e sugli uomini.

Fabio Ferzetti
Fabio Ferzetti
I giudizi sul lavoro in causa debbono corrispondere alla capacità quasi discreta di conoscere la lingua e la logica dell’informatica. Non sarà semplice. Disse un giorno in un’intervista Fabio Ferzetti (Il Messaggero) che si fa fatica a vedere al cinema il mondo e la conoscenza informatica se si hanno più di trent’anni. Insomma si vuol autoeliminare non accettando un passaggio epocale,la conseguenza della scelta gli fa scrivere ancor oggi così.“ L’insistenza sullo scontro tra materiale/immateriale,cyberguerra e forza bruta innerva un copione inverosimile.” Anche Giulia D’Agnolo Vallan (Il Manifesto) pur interessata ai temi si ferma ad un blocco per il semplice fatto che “ Nel film l'esposizione conta veramente ed è quasi tutta nella forma”. Un algoritmo viene scritto con,alfabeto,simboli,linguaggio,comandi che sono la forma da dare ad un’azione,quindi pure Blackhat usa l’intermediario formale per giungere alla sostanza. Maurizio Porro del Corriere della Sera sente di non aver le chiavi, Complicato nei remoti accessi delle nuove tecnologie,se fosse una ballata o una sinfonia avrebbe un tono solo. Sembra un James Bond lento”. Per non parlare di Massimo Bertarelli del Giornale che lancia il sasso. Un giocattolone con passaporto valido per mezzo mondo e un linguaggio per specialisti che farebbe venire il mal di testa a Bill Gates.” Sapere un linguaggio genera comunicazione a tutti i livelli,indubbiamente coloro che s’intendono un po’di questo riescono a pronunciare considerazioni più centrate nel mix di linguaggi tra cinema e matematica applicata. Escono aspetti più contingenti per coloro che hanno visto il film o utili se stanno per vederlo,in questa line professionale,Federico Gironi di Comingsoon.it s’inchina alle qualità autoriali di Mann,” Il suo stile raggiunge livelli di astrazione e di ellissi sconvolgenti,aggiunge e supera il punto di non ritorno della sua idea di cinema,lascia dietro di sé,invecchiata di colpo di 10 anni,la forma-cinema tradizionale.” Roberto Nepoti de La Repubblica invece aggiunge una questione strutturale,pratica e consequenziale a quanto detto da Gironi. “Il regista appare impegnato a realizzare un’opera digitale,ipertestuale che rompe con gli schemi noti. Mann alterna il montaggio rapido con lunghe pause «riflessive»,elimina come inessenziali i raccordi narrativi,procede per tagli,strappi mirando all’essenziale in un modo cui il cinema hollywoodiano non ci aveva abituati ”. Infine sembra opportuno ospitare l’intervento specialistico sul film di una rivista,peraltro distante dal cinema ma che proprio per questo può restituire ampio respiro e obiettività su Blackhat. Wired è testata di punta nel mondo del pc e dell’informatica,afferma in tal modo “E’ il film più rigoroso che abbiate visto sull’hacking dai tempi di «War Games». Nel nuovo film di Michael Mann,l’hacking trova la dignità che il cinema gli nega da decenni. Non più magia e astrusi sistemi operativi ma procedure,riferimenti e terminologie corretti,sistemi operativi veri (sia per cellulari che per computer),terminologia giusta,ipotesi di fantasia coi piedi per terra”. Se un giorno dovesse arrivare un’importante opera che svelerà tra compenetrazioni drama,fanta-thriller e stile in genere horror i terribili segreti dietro i social,critici non fate trovarvi impreparati ! Un manuale informatico lo troverete sempre in download a prezzo conveniente.
14 marzo 2015