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Il Meglio e il Peggio del mese
TAXI TEHERAN di Jafar Panahi
Sceneggiatura di Jafar Panahi

Con Jafar Panahi

Una città è come una scatola che rinchiude altri contenitori ma aprendoli con timore e cautela uno ad uno si spera di trovare un oggetto,una lettera o una testimonianza vivente per adescare un filo conduttore sottile e veritiero. Perché qualcuno vuole scoprire un ipotetico,forse aleatorio segreto nascosto dentro e tutt’intorno il caos di vie,quasi fossero nel medesimo istante recinto e fuga per la coscienza delle genti ? Se lo chiede sommessamente il regista Jafar Panahi guidando un taxi che fa girare per una città dai ritmi moderni e piena di estraniante intensità come Teheran. Un autore di cinema ha bisogno di linfa nuova e inebriante dopo un periodo di forzato stop all’attività artistica voluto dal regime iraniano. Subentra il desiderio di ricominciare,non da dove era rimasto,ma dal principio di un’era nuova da trovare il più presto possibile. Per questo l’uso del lavoro da tassista è una specie di viaggio metafisico alla ricerca di una sintesi per comprendere nei colloqui e nell’intrattenimento con i passeggeri il senso di tante sottigliezze individuali che aprano il caleidoscopio della società in cui vive. Fare nuovi film è determinante ma voltare pagine resta particolarmente difficile quando le regole culturali sono strette e il cinema non può condizionarsi a dogmi conformisti. Se aggiungiamo che in Iran resta tuttora complicato vedere il grande cinema internazionale e con esso la possibilità di confronto,lettura dei linguaggi avanzati deduciamo la difficoltà oggettiva di un creativo fuori dalle convenzioni statuarie. La gabbia non s’addice a Panahi che gira in auto cercando un’identità oltre il dubbio ma l’abitacolo dell’auto che guida sembra quel proseguo claustrofobico da cui tentare una fuga impossibile verso la conoscenza della verità. Una nuova forma di apprendimento non è rinviabile e le strade senza meta che non sanno rispondere a prima vista ad interrogativi opportuni,appaiono bagliori nella mente più che negli occhi,sembrando la sedimentazione astratta dell’indistruttibile regime. Quel soggetto auspicato potrebbe adagiarsi in un format cinematografico diverso che sfugga al controllo,contrariamente al realismo assunto a codifica perbene dei precetti comandati. Il film perciò diviene intermediario fondamentale per convincersi della bontà di un’idea realizzativa oltre la fiction. Allo stesso modo studiare le linee intuitive dettate da tante realtà personali e collettive nate da sfumature,atteggiamenti importati da luoghi e persone sono un presupposto per avvicinarsi alle tante angolazioni che la natura umana non potrà mai reprimere. Panahi ha fretta di fuggire lontano e grida con intelletto la sua voglia insoddisfatta ma dall’io non esce la figura straziata della frustrazione. Grazie all’arte del cinema proietta in avanti orizzonti mai solcati in una cultura locale che ha ancora troppa paura di volare. La storia non offre letture pietrificate sulla desolazione politica,concede tutta l’atmosfera figurativa per andare molto più avanti inviandoci uno splendido documento. Il centro di gravità risiede in questo punto che vibra di passione per il cinema e i suoi disegni prospettici quanto tentacolari.