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Venezia: La forma dell’acqua, la linea del deserto
Il Leone d’Oro lancia The Shape of Water verso la notte degli Oscar 2018
La kermesse lagunare ha evidenziato anche il periodo nero dei film italiani

The Shape of Water conquista Venezia
The Shape of Water conquista Venezia
L’edizione 2017 della mostra veneziana ha confermato ancora una volta le tendenze che avevano cominciato a spandersi negli anni scorsi. Da un lato osserviamo il sempre più convinto esercizio di espletare un palcoscenico di lancio per opere dal valore universale. Un cinema che ha nel suo Dna quoziente transgenico per affrontare box office e valutazioni analitiche di spessore con uguale impeto senza per questo essere caratterizzato da distinguo,da muri di convenienza e da tradizionali input culturali. Basterebbe ricordare che Birdman di Iñárritu iniziò in laguna una vertiginosa ascesa internazionale che lo condusse poi alla consacrazione dell’Oscar divenendo per temi e linguaggio un significante esempio figurativo del vivere di questi anni. L’anno passato fu la volta di La La Land di Chazelle che nel premio a Emma Stone misurò un passo di ricettività assai positiva,confermata subito dopo al Festival di Toronto,esplodendo alla fine come ben sappiamo durante la notte degli Academy Awards. Dai verdetti della giuria 2016 uscì anche un riconoscimento per Animali Notturni di Tom Ford,senza alcun dubbio uno dei capisaldi per estetica narrativa e per architettura emozionale di un racconto di tutta l’intera stagione. Venezia 74° sembra presentarsi di nuovo come grande ponte verso l’appuntamento dell’Oscar nel momento in cui consegna il Leone d’Oro sulle mani di Guillermo del Toro,autore de The Shape of Water  (La Forma dell’Acqua). Non era facile aspettarsi un riconoscimento così prestigioso per una pellicola dai tratti fantasy che fino a poco tempo fa poteva indurre sedicenti puristi,sicuramente incompetenti sull’evoluzione dell’arte,a lanciare strali grotteschi sulla fine del cinema. The Shape of Water è una storia nera ma gentile,che incentra il focus drammaturgico nel punto d’incontro tra una forma di comunicazione alternativa (linguaggio lis),con il diverso recepire di un’altra struttura sensibile appartenente alla creatura sommersa nel liquido. I contrasti d’ambiente e i deficit esistenziali s’intrecciano in un connubio fantasioso innalzando un vero senso d’identità ultradimensionale. La forma che ritrae riscrive ancora una volta nuove pagine,forme del cinema che potrebbero ancora monopolizzare le candidature dell’Oscar targato 2018. Non dobbiamo dimenticare,Tre Manifesti a Ebbing, Missouri di Martin McDonagh,a cui verrà assegnata il Leone alla sceneggiatura,ma la pellicola sarà premiata pure a Toronto e anch’essa moltiplica le percentuali di diventare protagonista nella notte hollywoodiana. Continua invece a lasciare identità negativa la presenza in laguna del cinema italiano quasi fosse cocciuta e autolesionista strategia che vuol fissare in rosso i valori di una cinematografia scrivendone paradossalmente tutta la cifra involutiva. Anche quest’anno sono sembrati troppi quattro film per rappresentare un paese al quale il cinema pare non interessi più,ma soprattutto questi lavori non avevano il crisma da grande kermesse internazionale. Sebbene Rai sia soggetto preponderante nei meccanismi festivalieri e vorrebbe una vetrina speciale per il marketing di tanti film in cui è produttrice non si può scherzare con i valori e la qualità di un’opera cinematografica. Già un anno fa apparve deviante e deplorevole presentare in concorso una pellicola del livello di Piuma,ripetere l’errore portando Virzì & Signora in rassegna con due storie spiccatamente mediocri (Ella e John, Una Famiglia) documenta un atto privo di logica artistica a meno di volerlo comprendere con i placet silenziosi suggeriti dal mondo politico,onnipresente. Colpiscono i fischi e le disapprovazioni del pubblico a Madre ! di Aronofsky in un microcosmo controllato da claque professionali e da applausometri a richiesta. Crediamo che da una parte ci sia il contrasto tra la forte presa iconografica delle immagini nel film,la complessiva visione anticonformista della vicenda acutamente estrema,messe di fronte al gusto convenzionale di spettatori poco abituati con il cinema non ovvio quanto impulsivo. Questo succedeva anche a Stanley Kubrick nell’impatto con i festival che trasudavano scandalo per i temi innovativi,irritanti dei suoi film. Il vero problema è un altro,molto pubblico che frequenta gli spazi di proiezioni veneziane non è educato,bisbiglia,fa rumore e pensa di stare sulle gradinate da stadio. L’avevano già notato nelle edizioni trascorse molti osservatori internazionali inorriditi,Venezia ospita davanti agli schermi il pubblico meno cinefilo del circuito festivaliero. In costoro è predominante solo l’attitudine al gossip,stelline e starlet,cui vengono sottoposti quotidianamente dall’effluvio mediatico. Esiste un deficit di educazione alla cinematografia,a parte vistose marchette di propaganda,di vero cinema e tendenze varie nel broadcast italiano non se ne parla mai come invece avviene comunemente in Francia o altri paesi. La linea del deserto si coglie netta anche da questi aspetti dove il costume delinea effetti nefasti causa pessime scelte che preferiscono un paese avvitato nel non crescere,a sopravvivere nell’ignoranza e a non cercare di far sviluppare forme di pensiero culturale in divenire.
Franco Ferri
29 settembre 2017