Le luci si spengono sulla 64°edizione del festival di Cannes con grande dispiacere perchè la vita festivaliera è una forza senza eguali che si può vivere come un sogno. La kermesse di quest’anno ha avuto un epilogo tutto sommato equo e restituisce quella qualità mancata per molti versi l’anno passato. Qualcuno potrà avere rammarichi per questa o altra preferenza ma è indubbio che la Palma d’Oro assegnata a
The Tree of Life di Terrence Malick sa mettere d’accordo tutti in un film veramente da grande festival per la sua originalità di linguaggio che ha prodotto equilibrio nell’economia di un racconto narrativo e allegorico.

Palma d'Oro a 'The Tree of Life'
Il Gran Premio della Giuria se lo aggiudicano ex-aequo
Bir Zamanlar Anadolu'da di Nuri Bilge Ceylan,una produzione turca che racconta la metafora di un viaggio nella steppa e
Il ragazzo con la bicicletta di Jean-Pierre et Luc Dardenne,film intimo e psicologico sull’infanzia,piuttosto forte nei contrasti da ricordare il primo Truffaut. La migliore regia è prerogativa del danese Nicolas Winding Refn(già in evidenza per
Bronson)che con
Drive ha saputo metter in scena un thriller notturno e inquietante interpretato da Ryan Gosling. In quello per la sceneggiatura si è imposto l’israeliano
Hearat Shulayim di Joseph Cedar dove padre e figlio si confrontano con le loro differenze nella Gerusalemme odierna. I premi per le interpretazioni vanno alla statunitense Kirsten Dunst nel sorprendente
Melancholia di Lars Von Trier mentre quello maschile è appannaggio del francese Jean Dujardin,protagonista dell’originale
The Artist diretto dal connazionale Michel Hazanavicius.

Kirsten Dunst
Ancora Francia nel Premio della Giuria attribuito a
Polisse,terzo lavoro da regista dell’attrice Maïwenn. Torna alla vittoria con Malick il cinema americano a Cannes dopo l’ultima Palma vinta nel 2004 da
Fahrenheit 9/11 di Michael Moore e tutto sommato lascia tendenzialmente un’immagine positiva e felice della cinematografia a stelle e strisce. Nel complesso risulterà quella più premiata se includiamo oltre
The Tree of Life e la performance di Kirsten Dunst,il riconoscimento alla regia per
Drive che risulta di fatto una produzione made in Usa. L’affermazione ha suscitato code polemiche in occasione di un pubblico dibattito coinvolgendo nientemeno che Thierry Fremaux,direttore artistico del festival. Una domanda apparentemente curiosa si rivelerà insidiosa nel momento in cui tira in ballo interessanti presupposti culturali; Gli viene chiesto perché nella selezione ufficiale era presente soltanto un titolo di produzione americana. Il rappresentante festivaliero,fuori da ogni diplomazia ed in netta contraddizione con i verdetti,afferma che la cinematografia d’oltreoceano è ancorata ad un lavoro di serie molto adatto per le esigenze dei multiplex,ma ancora distante dalle tipicità del festival dove è primario il compito di ricerca e la scoperta del film come prototipo. Quando poi si rilegge con ragionamento il senso di una premiazione scopri che il cinema americano oltre ad aver vinto la Palma d’Oro con un vero prototipo,ha fornito il suo eccellente background a pellicole ed artisti europei gratificati anch’essi dai premi.

Thierry Fremaux
Nella dichiarazione di Fremaux cè un dogma datato e fin troppo parziale che a tutt’oggi non assolve una concezione credibile del panorama cinematografico. Oggi il cinema americano o,che dir si voglia,chiamato genericamente Hollywoodiano raggiunge una completezza esemplare riuscendo a produrre cinema di intrattenimento e d’autore e spesso anche tutti due insieme. L’individuo è sempre al centro delle sue attenzioni sensibilizzandone lo sguardo nei più vasti assetti sociali,tutto ciò esiste sia nel cinema
entertainment come in quello che ha nell’anima una sua originale diversità. Questo significa fare comunicazione moderna contemplando una coscienza di opinione pubblica ma nasce proprio da quel contatto quotidiano con il pubblico dei cinema,dei multiplex che Fremaux vuole snobbare. Una produzione non è mai imposta,vive anche di simbiosi con chi è seduto in poltrona interagendo con la sua cultura,così oggi un film riesce a parlare a tanti segmenti di spettatori. La globalità ancor maggiore che in passato raggiunta dalle pellicole statunitensi non è un caso,né tantomeno riferibile all’unica preminenza di politiche del marketing. Il segreto del suo successo sta anche nel saper usare codici universali che intravedono una profondità oltre i linguaggi locali.