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Danish Girl: La seconda veste di Lili
La vera storia di Einar e Gerda uniti alla scoperta di una nuova identità
Il desiderio di un sogno che esce fuori sospeso nello stile della pittura

Eddie Redmayne in The Danish Girl
Eddie Redmayne in The Danish Girl
Il pastello che solitamente ama prediligere il regista Tom Hooper cerca nuovi luoghi di prospettiva rimescolando le chiavi del melò. I suoi film con assidua costanza hanno messo in connubio raffigurazioni storicizzate o superbamente coerenti nell’illustrare un passato che ritraeva le nature di personaggi tormentati come pure contrastanti condizioni esistenziali di riferimento. The Danish Girl non fa difetto del tipico esercizio architettonico,ma evitando qualunque sospetto di accademismo narrante vibra incuneando e permealizzando stilisticamente ancestrali quanto soffuse dinamiche con le atmosfere della pittura,quella introspettiva che guarda con vista,sfumature multiple vie della natura e immagini della realtà. Si narra la vera storia di due artisti della Copenaghen nel primo ventennio del novecento Einar e Gerda Wegener,ritrattisti di buon livello,culminata con il cambio di sesso di Einar in Lili Elbe,che poi visse alcuni anni da antesignano transgender facendo la modella a Parigi. La vicenda trasfigurata di moderna,piena sensibilità allaccia con echi continui e riflessi speculari i movimenti emotivi di due individualità nella strada della complicità come del distacco,quali fossero la scrittura di sentimenti che uniscono,elidono facendo accettare varianti della natura mai immutabili. Una traccia solcata in parallelo,tra le metamorfosi a tratti impalpabili della forza artistica nell’atto del rappresentare e la deliberata,travagliata scelta di affermare una nuova forma oggettiva di volontà interiore che ambisce a rivelare una differente identità umana. Il film presenta affascinante maestria esprimendo le fasi costruttive di questa veste,un abito che viene tessuto correlando le gradazioni caratteriali del ritrattista,Einar mentre si dibatte e s’infrange per far emergere una dimensione sempre più divampante. Affermare l’io nell’alias di Lili,un’anima e un corpo rinnovati,sono traguardo che sfida l’utopia della realtà di quegli anni e molti dopo. Il caparbio protagonista affonda dolore cercando luce,innalzandoli a fidati compagni nell’incerto percorso sempre pervaso da trascendenza personale. Crede nel volo,vuol realizzare l’idea pregnante di una trasmigrazione,quella preparata da un grande progetto intimo che solleva piacere,cosparso di abnegazione assoluta,inebriato dai sogni di innata libertà in cui si nasconde la sua,imaginifica Lili. In questo soggettivo divenire di evoluzione darwiniana,appaiato nelle sottigliezze astratte che escono da cammini,ansie,respiri quasi stabilissero il canto dell’anelito superiore,Gerda è la partner sagace e intrigante,la guida più giusta nella scoperta femminile di Lili. L’occhio invadente di una donna crea barriera protettiva nell’uomo,ma lei sa trovare la catarsi giusta per scavalcare il timido confine di Einar attraverso le lingerie che gli farà indossare e favorendo l’osmosi nel ritratto. Ella nel colore espande policromia di tinte intimiste,scopre la sottile verità riuscendo a rappresentare lo spirito dell’amato modello,ottenendo gradi dolci e aspri nel medesimo attimo che fissano la figura complessa di Einar/Lili. Aiuterà la trasformazione,ma sarà particolarmente combattuta dal lento,inesorabile percorso dell’altro e dalla contemporanea sirena di una seduzione completando tempeste e forze della femminilità. The Danish Girl è una pellicola coltissima che contempla e compenetra i generi trasformandoli in fonte di maiuscola autorialità. Un apologo forte che non ha bisogno di dichiararsi tale,ma riesce nell’opera mettendo in primo piano l’affresco dell’arte con le mutazioni congenite all’evoluzione della natura umana.
Franco Ferri
26 febbraio 2016