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Cinema e televisione non sono la stessa cosa!
La tv con il favore dei politici annulla la diversità genetica della settima arte
Uno strano abbraccio mediatico per favorire interessi di potere e casta

Pupi Avati
Pupi Avati
La crisi che sta avvolgendo il cinema in Italia non è comparabile con l’andamento in altri paesi d’Europa né tantomeno con gli Stati Uniti. Tutti coloro che seguono periodicamente i nostri report dei box office internazionali avranno notato le differenze spesso enormi relative alle presenze su grande schermo in paesi anche vicini. Qualcuno interrogandosi sulla questione può essere tentato di mettere tutto sulle spalle della crisi economica ma l’interminabile riduzione di spesa per andare a vedere film sarebbe percentualmente poco indicativa se non ci fossero altre motivazioni di impronta culturale,sociale,attitudinale. La disattenzione del pubblico verso il cinema è un fenomeno andato in ascesa progressivamente di pari passo con la preponderanza mediatica della televisione. La concorrenza sarebbe una causa comune se non maggiore anche ad altre latitudini,primi fra tutti gli Usa,ma lì come nella gran parte delle regioni mondiali il feeling del grande pubblico con il rito collettivo del film in sala non si è comunque mai interrotto. Allora quale elemento ha contribuito a rompere da noi il giocattolo? Molto semplicemente la tv da anni ha dismesso il volto di media neutrale facendo passare piano piano il messaggio subliminale che vedere un film sullo schermo domestico è la stessa cosa della sala cinematografica rendendo reale l’inutilità di questa. Con alta dose di surrealtà le prime visioni pur vecchie di anni sono sui network,il cinema arriva direttamente in casa,mentre i canali italiani a differenza di quelli esteri non offrono alcuna trasmissione seria sui film in programmazione. In una logica mai celata di potere il primato del piccolo schermo ha dettato lentamente indirizzi che sembrano aver avuto effetti maggioritari e il peso della politica nel consueto ruolo acchiapatutto offre contributo portante. Il controllo del sistema televisivo da parte di soggetti che hanno partecipazione primaria nelle istituzioni ingloba,unifica la stessa produzione e distribuzione di film alle strategie delle reti. Sottilmente lo smontaggio silenzioso della cultura cinematografica significa ridurre l’impatto o annullare il feedback di un potente mezzo che nella sua storia ha rappresentato voci e prototipi molto spesso alternativi. L’onda di regime ha raggiunto altresì le redazioni dei giornali e di altri media verificando quotidianamente lo stato comatoso dell’informazione e dell’analisi di settore. Alla medesima stregua vediamo la faccia altrettanto pietosa del cinema italiano ormai succursale di fiction tv,menestrello di improbabili ed edulcorati stili,buoni soltanto per distogliere dalla vera realtà. Il linguaggio e la sintassi del cinema sono completamente diversi da quello televisivo,non possono chiamarsi complementari perché il loro dna interagisce con mezzi comunicanti del tutto diversi. Questo non è un desiderio ma un dato di fatto ricorrente,persistente tipico dell’industria filmica a livello internazionale. Se l’Italia vuole essere un mondo a parte lo dimostra con la solita intervista tv finalizzata al progetto,Pupi Avati di recente rispondendo su quali fossero le differenze tra cinema e televisione,disse che non esistevano. Nel gioco al ribasso continuo ci perde pure lui visto che l’ultimo suo film,Un Ragazzo d’Oro non sembrava né cinema,né televisione. A suffragare la confusionaria tendenza foraggiata dai monopoli del piccolo schermo la presenza di festival o rassegne dedicate all’osmosi,al tentativo di presunta rassegnazione della settima arte (Roma Fiction Fest),al probabile accorpamento del festival romano del cinema in una generica,indistinguibile kermesse. Qui però entrano in gioco le sinergie della convenienza e l’irresistibile voglia,presente in molti addetti ai lavori nell’essere squadrone di casta.
Franco Ferri
13 dicembre 2014