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Checco Zalone in Quo Vado?
Checco Zalone in Quo Vado?
E’ una specie di evento che cade ogni due anni ma non si tratta di una cometa del firmamento astrale bensì dell’ascesa di una stella tutta italiana regolarmente al centro dell’universo peninsulare. Il fenomeno mediatico dei film con Checco Zalone non avrebbe bisogno di ulteriori commenti quando le cifre riescono a parlare da sole; nelle prime due settimane di permanenza sugli schermi Quo Vado? sta già eguagliando il lavoro precedente,Sole a Catinelle con otto milioni di spettatori. Consideriamo,vedendo la questione sotto il profilo rigorosamente statistico,che la pellicola fisserà da sola all’incirca il 10% delle presenze totali al cinema abitualmente di norma in Italia. Il fatto enuncia scalpore perché come ormai è consueto,assodato da anni il paese non ha folle vocazione per i film su grande schermo nemmeno in occasione dei blockbuster internazionali,ma stavolta sono tornati quelli che non vanno mai nelle sale. Il ritorno in massa a vedere cinema induce a raffronti con anni lontani. Diverrà un momento di gloria troppo invitante per ogni appassionato ai percorsi del cinema che talvolta sono tortuosi e misteriosi per essere decodificati con analogia lineare. Sotto questo profilo Quo Vado? stabilisce esempio indicativo non esaltando grandi voli pindarici fin dalla sceneggiatura così filiforme e ingenua,risulterà una storia piuttosto imbarazzante per trovarvi spunti d’interesse da maturo opinionismo cinematografico. Probabilmente sarebbe più indicato il commento dell’esperto sociologo che sapesse misurare il nesso tra costume e richiamo suadente del film. Eppure lo spettatore più attento riuscirà a scovare in alcune sequenze una citazione cinefila,per quanto leggera ed involuta,di un celebre film,Pane e Cioccolata di Franco Brusati. Checco rifà il verso a Nino Manfredi,emigrato all’estero che tinto da biondo nordico prendeva le distanze da modi e usanze tipiche dell’italianità per poi pentirsi. La differenza che troveremo sarà fondamentale,nel film di Brusati quelle sequenze allo stesso istante grottesche e tragiche riuscivano a cogliere un archetipo che motivava scelte,contrasti e diversità del protagonista. In Zalone,attore o autore,emerge solo il lato macchiettistico dell’aspetto,lasciando intravedere unicamente nella verve del comico pugliese una gran voglia di politicamente corretto. La profonda difformità che pone innanzi generazioni di comici del cinema italiano,passate e presenti tutte coperte da sold out per gran numero di spettatori,può stare in questo omologo paragone. C’è stato un tempo in cui il pubblico italiano affollava gli schermi per storie scomode dove la risata era formula d’intrattenimento e contemporaneamente di sulfurea riflessione. Checco Zalone invece porta le sue quotazioni ad affrontare desideri,accarezzare vezzi e disvalori italici avendo la capacità di saperli trasformare in valori nazionali,forse questo potrebbe essere anche un pregio ma l’artista vero non può trascurare e non mettere in scena la forza del sorriso amaro. L’oggetto di culto del momento riesce a mantenere forte feeling con il pubblico perché usa il racconto cinematografico come un politico navigato che sa quali mezzi occorrano per farsi mantenere sul trono. Luca Medici nella maschera di Checco riesce a replicare il canto delle sirene che richiama gente,esprimendo stesso linguaggio e aplomb di cultura tradizionalista. Dall’alto dei suoi milioni e milioni di fan (elettori !?) è il leader di un partito sui generis dal volto rurale e nostalgico che non vorrebbe cambiare mai le cose suggerendo,tutti per Zalone,Zalone per tutti. Il commediante sorride e rivela meglio di un istituto d’indagine la fisionomia di un paese che insiste imperterrito a guardare all’indietro. Popolare o populista continua a vincere sfide meglio di tanti premier,aspiranti o tali,dal verbo qualunque.
Franco Ferri
14 gennaio 2016