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Il Meglio e il Peggio del mese
ROCKETMAN di Dexter Fletcher
Sceneggiatura di Lee Hall

Con Taron Egerton,Jamie Bell,Bryce Dallas Howard,Richard Madden

Musica e parole restano fondamentali e non potremmo immaginare una società che osi metterle in secondo piano. Saranno sempre le canzoni,la mitopoiesi intuitiva e il loro straordinario feeling che creano a darci il legame con la parte astratta più nobile,una fase preposta a costruire importanti sviluppi nelle nostre personalità. Forse è anche per questo che da quando l’industria musicale ha abbassato i toni non riuscendo a produrre più hit e performer di valore,ovvero quel segmento evolutivo basato sull’amalgama di tendenze e sul virtuoso valore di artisti eccellenti,abbiamo rinvenuto d’incanto il grigiore quotidiano quale inseparabile compagno in un mondo appiattito. Se si nota l’assenza di grandi cantanti e band magistrali che,come nel passato,dovrebbero rappresentare l’ouverture e le ritmiche identificative di un periodo,resterà difficile avvertire il vento di una nuova era in un presente semmai alquanto proteso al verbo conformista. Così i big del rock stagionato e le loro radici vanno oltre una funzione di classicità continuando ad avere influenza notevole perché per fortuna certi suoni e arrangiamenti esprimono tuttora una modernità molto esigibile. Il cinema quindi non accalappia una moda ma contribuisce al necessario riappropriarsi della forza alternativa della musica unita a quel tanto di visione mitica. Quando celebra star che sono state i fulcri di un’arte e in qualche modo hanno cambiato il mondo in meglio ben al di là di regole costituite e dell’inutile retorica dei dominatori,mostra non solo esistenze combattute ma modelli e virgulti di discipline quanto mai sostenuti dal talento. L’anno trascorso abbiamo visto il fortunato connubio tra Freddie Mercury & Queen in Bohemian Rhapsody,pluripremiato agli Oscar che ha trascinato gli spettatori senza mezzi termini. Adesso è il turno di un’altra stella britannica del pop,Elton John,multiforme quanto struggente personaggio di liriche straordinarie a poggiare sul piedistallo del grande schermo. La biografia cercherà di catturare le movenze ipnotiche del volo quale condizione mutante dell’anima partendo appunto dall’emblematico leitmotiv,Rocket Man. Ciò che lega per alcuni versi il film al fortunato Bohemian Rhapsody non si basa tanto sulla similitudine di uno stile biografico o sul potere coercitivo determinato dall’essenza musicale ma sul nome di un medesimo regista,Dexter Fletcher. Nella pellicola sui Queen fu direttore non ufficiale e per tale presupposto non venne accreditato nei titoli ma nel cuore dell’operazione Elton troverà caratteristiche e stili assai diversi da quella produzione. Uno sceneggiatore differente impronta altra visione dell’architettura narrante,perciò Lee Hall prediligendo il musical (Billy Elliot) e vedendo nell’eclettismo del personaggio un risvolto fantasioso da tradursi su piani interagenti conduce l’azione entro livelli resi spesso con forma musicale. Parte in questa versione alla scoperta di un profondo intimo del cantante. Lo scontro con se stesso non ha ancora eliminato il residuale,piccolo Reginald Dwight e le ancestrali beghe di famiglia che continuano a inquietarlo sono occasione da clip. Una simbiosi di preminenza imaginifica tra habitat e scelte nate dal profondo del cantante creano una forma rarefatta di psicorealtà che dovrebbe rendere suggestiva la relazione tra voglia di essere un altro,diventare Elton e una vita per le canzoni. Musical e sogno ipnotico vogliono scuotere il personaggio,colui che nel tentativo di approdo all’Olimpo scopre tortuoso uccidere completamente il suo passato. Invece la scatola magica della pellicola si ferma al colore rendendo l’agone del fasto in salsa musicale una costruzione resa pratica soltanto per l’adescabile show degli occhi e il risuono di memorabili hit of the pop. Osservare nonché riprodurre l’egocentrismo del cantante ha realizzato una sorta di ostacolo saldando nel film un filtro di apparenze che rende distanza riprovevole tra l’uomo e il vincolo con la sua vera arte. Bohemian Rhapsody invece regalava una splendida ultima parte glissando saggiamente su convenzioni biografiche. Riusciva a scavare nel momento in cui l’artista (Freddie) tra solitudine e angoscia voleva riprendersi il filo quasi compromesso che lo legava all’amicizia e alla musica,riassaporerà nella sfida (concerto Live Aid),la fiducia in se stesso,l’affetto della band e del pubblico. Soprattutto quell’insidioso match avrebbe rivelato le tensioni di un amico nemico invisibile con il quale dover fare i conti. Il duello era con lo spirito della musica,la capacità di ritrovare pace con l’arte,il riabbraccio di una corrispondenza d’amore che l’aveva accompagnato ad un livello magistrale. Tutto ciò resterà molto importante,aspetto insorgente che dettava nella vicenda magnetica tenuta di racconto. Rocketman al contrario non svolge mai qualcosa di simile,non fulmina suggestioni e originalità che riconducano al significato di una vita al massimo.