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APRILE 2024
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Il Meglio e il Peggio del mese
LO CHIAMAVANO JEEG ROBOT di Gabriele Mainetti
Sceneggiatura di Nicola Guaglianone,Menotti

Con Claudio Santamaria,Luca Marinelli,Ilenia Pastorelli

Qualche stagione fa girando per Roma e dintorni,la figura di Jeeg Robot o in alternativa il diretto sfogo di massime che avevano sempre come soggetto l’eroe del cartoon giapponese,si potevano ammirare nelle zone più impensate e depresse della città. Murales e bombolette spray non sono mai stati ritenuti da amministratori e loro ottusi cortigiani l‘evoluzione dell’arte,ma per disprezzo e forse per un grammo di paura in più sono state cancellare dalla perfida neutralità del bianco. Per il vero non è che istigassero acuta ribellione quasi fossero la moderna riedizione delle Pasquinate,entravano come docili staffilate di estrosi pittori dall’immaginario generazionale sconfinato,identificavano nella mitica icona il centro portante di un nuovo mondo possibile. In tempi di cinema dove i supereroi hanno assunto dimensioni e disamine che un tempo sarebbero state patrimonio del costrutto filosofico,viene seriamente da pensare ad un legame tra nuovi profeti e il trascendente bisogno protettivo della Roma sfregiata. Tra tutte le capitali è quella dove svetta più palpabile il senso di confusione imposto da poteri sovrani per arruolare l’eterno comando predatorio. Il ruolo di un personaggio imaginifico scopre il fascino vendicatore e con esso il tentativo di nuove strade produttive italiche per scongiurare la solita,ossessiva comicità da regime che inonda gli schermi. Il film però non sceglie Jeeg Robot a simbolo di un contrasto fantasy da catapultare nella filigrana sociale contemporanea,il manga e il personaggio tv che allevarono più di una generazione non ha alcun riferimento nobilmente culturale con la storia odierna. Il romanzo di formazione è puramente casuale quanto epidermico,scordandosi ogni diversità sottilmente splatter se non rovente di onda adrenalinica che ridisegni un supereroe altro,per intenderci alla Deadpool di Tim Miller. L’idea referente di allacciare alla capitale d’Italia un alone vagamente sociale dove si possa tradurre disagio e richiamo alla mitologia dell’uomo in maschera non sviluppa un modello rinnovato del format. Troppi gli stereotipi associati a talune incongruenze che fanno riemergere il già visto da ogni sequenza più o meno d’azione,stratificando nel film una spiccata aritmia e stanchezza ricettiva. Perciò il genere non s’innalza di autenticità e sprofonda nelle crepe anguste del sottogenere a grana grossa soddisfacendo i crismi pregnanti dell’inutilità. Semplicemente è stato come voler riprodurre per talea degli esili ramoscelli in un terreno inadatto affinché formino spesse radici,vegetazione autonoma. Certi capitoli narrativi strausati non riusciranno a fondare vigore originale oltretutto quando l’orizzonte presenta il solito fondale cinetelevisivo,ormai barocco,da Gomorra & Suburra. Stracattivi da mattatoio e buonismo amabilmente caciottaro non assemblano squarcio archetipo sulla lotta capitolina tra bene e male,ma ripropongono la vecchia semplificazione del realismo decodificata da caratterizzazioni in stile Grande Fratello. Sottovalutando il background di riferimento la costruzione del Jeeg Robot romano risulta tormentosa,l’aplomb sulfureo dello script disgraziatamente resterà confinato nelle sole acque del Tevere,finché grottesco non ci sommerga.