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Il Meglio e il Peggio del mese
UN AFFARE DÌ FAMIGLIA di Hirokazu Koreeda
Sceneggiatura di Hirokazu Koreeda

Con Lily Franky,Kirin Kiki,Sakura Andô,Mayu Matsuoka

L’obiettivo segue con partecipata e silenzioso senso della costruzione questa famiglia numerosa che vive ai margini della mappa metropolitana sotto il carisma della nonna. Mette subito in contatto gli spettatori trasportandoli con neutrale sguardo negli aspetti comportamentali,nelle attinenze e nelle capacità che fanno le differenze. Ciascuna di loro non sarà mai leva di un dissidio che potrebbe essere pericoloso per l’unità familiare. Vivono alla giornata prendendo quello che la marginalità sofferta può offrirgli ma in fondo tutto gira intorno all’anziana che li protegge non soltanto nel rendiconto economico. L’equilibrio che li supporta è una meta da non sottovalutare,rappresenta una scelta di opportunità come pure un fattore difensivo da cui la piccola comunità trae un relativo beneficio a dispetto dell’evidente isolamento sociale. La parte descrittiva risulta adatta e stilisticamente appropriata per aderire all’espressivo,naturalistico ritratto dal quale verrà rimessa in moto la memoria dei cinefili attratti dal cinema del sol levante. Ricorda con la stessa,straniata partecipazione la cinematografia di Yasujirō Ozu che nella prima parte del novecento seppe narrare con felpata ricerca degli ambienti il microcosmo disagiato dei bambini e le tensioni apparentemente non sollevate degli adulti. Vengono riproposte le tonalità che hanno fatto conoscere all’occidente non solo un’idea di cinema ma tutta una gamma di caratteristiche della cultura giapponese. Se una certa maniera di raccontare l’umanità risulterà convincente,comunicando medesima passione e perenne volontà di scoprire sentieri inusuali,permettendo di raggiungere ciò che gli occhi non potranno mai vedere,otterremo sicuramente l’efficacia di un disegno filologico utile a raffigurare la complessità presente. Ancor meglio il film farà emergere con segni distinguibili la strada di evoluzioni tematiche survoltate dal contesto. Riuscirà a stabilire con esse una suggestiva empatia spinta dai rivoli ambientali,immessi con violenta leggerezza liberandosi poi del minimalismo di facciata che proteggeva i protagonisti sull’alveo di un esistenziale lirismo. S’imporrà una regola del dramma che rovescia i postulati ma sa riadattarli per allargate letture non disgiunte da evidenti quanto impliciti messaggi politici,in una società oggi come ieri,costretta e corrotta dall’ansia di sopravvivere. Sono in ballo i legami affettivi oscurati dai paraventi convenzionali ma con questi si riannoda e prosegue alacre un profondo messaggio sull’ambiguità. La pellicola di Koreeda s’impone man mano che ci addentriamo nei personaggi,e nel puzzle di un segreto inimmaginabile,riesce a smuovere materia di assoluta unicità con sorprendente cambio di passo. Sa spiazzare il pubblico con intelligenti motivazioni dopo averlo introdotto,circostanziato ai dettami di una tradizione colta. Ma l’etica dei generi in una congettura contemporanea assume flussi e contorni assai diseguali,conducendoci nell’agone di un dibattito sempre in divenire. Di nuovo un film omaggiato della Palma d’Oro a Cannes comunica,un anno dopo The Square,ulteriore visione anticonvenzionale. Un’altra rimodulazione sensibile per i canali percettivi come non accade frequentemente.