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Il Meglio e il Peggio del mese
PARASITE di Bong Joon Ho
Sceneggiatura di Bong Joon Ho, Jin Won Han

Con Song Kang Ho, Lee Sun Kyun, Cho Yeo Jeong, Park So Dam, Choi Woo Shik

Il racconto risulta il manifesto più avanzato sul difficile cammino che le società in tutte le latitudini stanno percorrendo. Esprime una lingua compiuta alzando la prospettiva visionaria,e i segnali che mette in correlazione hanno duttilità nell’ispirare una tensione politica di rinnovata robustezza. C’erano stati fattori di sicuro un po’ imbolsiti da partecipazione asettica,se non dal ricorso completo a cliché ingrigiti,che hanno veleggiato imperterriti in tante sceneggiature non riuscendo ad ottenere un minimo di sincera adesione comunicativa. Nel lavoro di Bong Joon Ho lo scontro campale tra classi della società presenta connotati di rilevanza innovatrice con caratteristiche finali di completo trasporto. Lotte per la sopravvivenza ma anche per conservare posizioni,immergersi nel malessere e nella devianza,come pure nel sogno cosparso d’incubo pervaso di pessimista e disarmonica utopia dipingono una folgorante parabola moderna,che si avvale di un nitido riconoscimento d’identità valido oltre ogni confine. Vede il comune denominatore di un processo storico che abbassa le difese e disperde importanti codifiche acquisite dagli individui,ma rivela l’impossibilità di sostenere quel rivolo di diversità utilizzando gli stessi mezzi di chi già detiene il potere. Una sorta di potere effettivo la pellicola tende a costruirlo per sé aderendo ad uno stile di concreta chimica che persegua il componimento sequenziale. Parasite prevede dentro l’intreccio reale un rigore e una fantasia sulla falsariga di una tela in cui fisicità,luoghi e fondali si avvicendano nella concezione di affresco portando in dote il crisma della sostanza. Pone in rilevo congiunzioni di buona risposta informale che offrono al film un supporto  di codici prossimo a quello dell’arte. Quasi fossero pennellate senza preavviso,nevrotiche,dissonanti e modellate nella pellicola,paiono uscite da un’opera di Basquiat mentre stanno riprendendo con tocco casual le fisionomie di un trauma della civiltà. Prevedono tratteggi caotici,ossessivi in un quadro compulsivo sospinto da un’umanità immortalata durante la frenesia forzosa di volere l’inclusione. Il popolo ha perso il pensiero solidale approssimandosi per egoismo all’ombra che disgrega. Al centro della raffigurazione è posta la dimora,la magnifica villa della famiglia Park,elemento cardine nello sviluppo narrativo. Sostiene il nucleo archetipo di un Eden,ma collegandolo per verticale estensione geometrica alla sua profondità recondita fissata nell’inviolabile e ambiguo bunker,stabilirà la completezza ideale di un architettonico creato quanto mai soggiogato al desiderio del’ambizione,come pure al secolarizzante riproporsi della marginalità. Rappresenta il granitico albero genealogico del processo di dominazione che appare inattaccabile nel perpetuo conflitto di classe,e in sincronica lunghezza d’onda quantifica la continuità di uno spirito difficile da abbattere. L’angusto sotterraneo rivelerà la sedimentazione dell’atavica miseria umana,la tomba silenziosa che raccoglie supinamente paure e l’involuta discesa di chi ha perso per sempre. Per contrasto accendere la scintilla che ribalta il destino e credere nella metamorfosi quali soggettive del possibile risveglio vitale,sembrano un miraggio beffardo uscito dal narcisismo dei protagonisti. Nell’estetica di prospettiva il film presenta una serie di eventi simbolici contrassegnati da asimmetrica relazione manovrati attraverso fili dalle combinazioni veramente irrazionali. Argini e disordini appaiono sotto vesti naturali che dipanano e poi scombinano i progetti congegnati dagli uomini illustrando il cammino di un autorevole disegno arcano. Non mostrano preferenze tra finalità positive e negative esprimono un cerchio di moto infinito dove bene e male si elidono scontrandosi per poi far ricominciare le ardue prove dell’umanità.