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Il Meglio e il Peggio del mese
DOGMAN di Matteo Garrone
Sceneggiatura di Ugo Chiti,Matteo Garrone,Massimo Gaudioso

Con Marcello Fonte,Edoardo Pesce,Nunzia Schiano,Alida Baldari Calabria

Nella prospettiva geometrica che definisce le opere più liriche e meditate di Pasolini l’orizzonte sta sprofondando sull’avanzata e la vastità del cemento,c’é l’amarezza profetica della sconfitta prossima ventura. Non va confuso con un cantico decadentista che dichiari solitario amore alla terra dai fondali perduti in nome dell’irredentismo bucolico. Nelle immagini plastiche di Mamma Roma e Accattone il realismo fotografa l’ineluttabilità silenziosa del momento ma nel parallelo coinvolgimento umanistico segna il distacco,la frattura che avrebbe corrotto definitivamente il già precario,filologico legame delle culture con l’essenza naturale. Qualcosa di analogo ma ancor più pessimista è presente in Dogman,certificando un’eredità sovente difficile da metabolizzare che vale pur sempre il disegno dell’apologo. In un periodo e in un paese dove il racconto film,meglio ancora l’idea di scrittura cinematografica,erano stati abiurati quasi fossero il frutto linguistico di una complessità mediatica ormai inutile,la pellicola di Garrone riprende struttura e dettagli da narrazione significativa. Pasolini ne resta nume tutelare ma siamo nell’era delle macerie assolute,quando palazzinari insaziabili e palazzi grigi possono essere chiamati per paradosso in causa come autori,soggetti scenografici della storia deturpando la terra,assassinando la speranza. C’è il bisogno iconografico di stabilire un realismo diverso dal passato che quantifichi il tracollo attraverso un pizzico di visionarietà. Innalza un palcoscenico di stilizzata assimilazione alla periferia miserabile di una capitale allo sfacelo pur essendo questo nella logica di location piuttosto distante dal vero litorale romano. Catalizza nell’ambiente,che sarebbe piaciuto a Emile Zola,l’acuto di una sostenibilità edilizia post modernista precipitata coinvolgendo umanità e valori. E’ l’inferno finale della colpevole politica soggiogata all’economia grazie all’intercessione di mafie e logge massoniche che per decenni hanno burattinato una società a loro immagine e avidità senza pagarne la responsabilità civile e morale. La distruzione resta una scacchiera di sola prerogativa per gli umili non scalfendo affatto l’elite,così la legge del denaro diviene un sarcastico gioco di sopravvivenza anche nel vizio che rende assurdamente linfa competitiva ai vincitori. I codici criminali sono la Bibbia contemporanea che hanno sostituito la solidarietà di classe Pasoliniana in questo ritratto del duemila nuovamente medioevo. Quelle facce irregolari,smunte e inquiete per imaginifica sovrapposizione di format sembrano uscite dalla Terra di Mezzo,quasi Tolkien avesse autorizzato l’incarnazione delle sue simboliche creature. Reale e fantastico letterario si congiungono nell’illustrazione della fisicità lombrosiana che riverbera quesiti di umanesimo tortuoso. Nel paradigma somatico il volto di Marcello,personaggio motore del film,ricorda vagamente sulle congiunzioni dei lineamenti scavati l’antica,austera figura del vinto che appartenne ad un giovane Sergio Citti. La personale tragedia di Marcello (Marcello Fonte) è vivere in modo amletico tra l’accettazione quieta del proprio mite carattere e la compressione subdola,opportunista resagli da uomini peggio dei cani. La capziosa conoscenza del proprio,splendido rapporto con questi animali lo condurrà a intraprendere una rivalsa di vita che sotto molti aspetti ingaggia le soluzioni drammaturgiche della vicenda. La sua rivolta possiede un alone ascetico tentando di riconquistare la dignità calpestata,annullare l’umiliazione subita,a fronte della bestialità congenita negli altri. Cerca d’istinto la salvezza contro l’intolleranza radicata riconducendo alla ragione ciò che è giusto,forse la violenza nascerà per caso ma il fine giustifica i mezzi per non restare l’eterno cagnolino dei cattivi. Probabilmente non basta nemmeno questo per rompere l’insensibile indifferenza di questo mondo carogna,eppure tutto si muove con duttilità nelle icone dei personaggi portando a ebollizione la migliore simbiosi tra cruda realtà e modello di visione enigmatica.