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Freddie, Queen, la leggenda di Wembley
Bohemian Rhapsody, biografia della mitica rock band è un film a due facce
Celebrativo e schematico ma nell’ultima parte riabilita l’acuto del’emozione

Rami Malek interpreta Freddie Mercury
Rami Malek interpreta Freddie Mercury
La magica miscela creata da una delle più incredibili band mai apparse sulle scene fa continuare lo show senza dover essere condizionati dalle scansioni del tempo. C’è qualcosa di unico e di travolgente che assicura ai Queen,alle loro musiche,alle performance del palco e alla modernità compenetrante delle liriche un posto nello spazio indefinibile,in cui origine e presente innalzano le stesse vibranti note scolpite di fremito arcano. E’ una forma di vita anche questa che può contagiare la fantasia nella più pura espressività rimandando a tutte le derivazioni d’immaginario quando musica e la sua prossimità visionaria s’incrociano per illuminare il volto dei protagonisti. Molto probabilmente risiede da queste parti il seduttivo richiamo che il popolo del cinema ovunque nel mondo sta approvando,trasformando Bohemian Rhapsody nella biografia rock più vista di sempre. Il film predilige l’aspetto celebrativo calandosi sulle vite dei quattro Queen mettendo in risalto per sommario i capisaldi artistici ma sopratutto guardando al glamour come egocentrismo pulsante del suo componente più estroso,Freddie Mercury. Nell’insieme la pellicola per lunghi tratti non concede slanci ipnotici spiazzando in determinanti capitoli chi amerebbe la creativa amalgama tra epica e grande musica. Bohemian Rhapsody non sarà l’ultimo entropico appuntamento per calarsi totalmente nel centro dell’ispirazione o per godere un qualche grandioso affresco che contempli l’assolo del talento. Chi sperava nel nuovo,The Doors,un capitolo di questi anni che offrisse l’idealità pregnante dei protagonisti e il più illuminato ritratto di giorni straordinari avrebbe per buona parte l’emotività raffreddata. Raccontato in maggioranza attraverso ritmi,sintesi e qualche piccolo gossip che sembrano ingredienti per target da magazine tipo,Oggi,oppure,Paris Match,a volte pronuncia un accento riduttivo non consono all’evento. In special modo nella prima parte sorvola molti avvenimenti di quel periodo fervido e di metamorfosi vissuto dalla band tra gli inizi hard rock e l’evoluzione che portò al brano Bohemian Rhapsody. Così la sofferta commistione stilistica tra il rock e quegli sprazzi metamusicali dal sapore operistico che osarono conciliare l’inconciliabile,presente e passato insieme per una canzone dallo spessore ancora futuro,nel film diverrà per riassunto epidermico una specie di rumorosa discussione condominiale con burberi discografici. Siamo convinti che la sensazione provata abbia un turbamento e sia stata oggetto di forte dibattito produttivo anche nei momenti di genesi. Il regista Bryan Singer,uno che sa riprendere i personaggi nell’interiorità oltre le convenzioni,veniva licenziato dopo poche settimane di lavorazione e per versione non ufficiale,a causa di divergenze produttive. Il regista de I Soliti Sospetti e X-Man rimarrà comunque nei titoli di testa e il sostituto,Dexter Fletcher,portando diligentemente in porto le riprese avrà il merito di visualizzare una sceneggiatura che è diventata un blockbuster planetario. Questo discusso script,quando tutto sembra correre verso l’orlo del limbo lasciando attoniti gli amanti speranzosi del grande cinema,tirerà fuori a sorpresa gli artigli che restituiscono al palcoscenico l’acuto del’emozione. Sono gli ultimi trentacinque minuti,perdonate la metafora sportiva ma Wembley assieme al fascino del Tempio stanno arrivando. Mentre il colore del film non riesce ad attecchire per assist sbagliati,sterili fraseggi,posizioni statiche dei giocatori in campo,un improvviso cambio di velocità permette alla squadra dei Bohemians di avere quei guizzi che restituiscono ai Queen il vento della catarsi. Freddie Mercury (Rami Malek) si sta distaccando dagli altri del gruppo,il sovraeccitato svolgimento di vita spericolata e la contemporanea scoperta della malattia sono un dualismo letale che lo porta verso solitudine irreversibile. C’è paura e vero dramma,mentre sa che dovrà riconquistare la schietta natura di performer. E’ la sola via dove trovare qualcuno da amare,scopo in cui rinsaldare talento,amicizia,umanità; Non soltanto il perdono dei compagni ma la fiducia di tutto il pubblico. L’eroe ha bisogno di approdare e riabbracciare la propria terra. Il Live Aid nel mitico stadio sarà l’occasione per riconciliare l’uomo,l’artista,la band,la grandezza di una leggenda nell’atmosfera di Wembley che compie ancora il miracolo come nella realtà di trasferirsi dallo schermo. Un brivido caldo in una scaletta memorabile da finale d’Opera che lascia il segno ringraziando per questo la sensibilità di sceneggiatura.
Franco Ferri
2 dicembre 2018