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Il Meglio e il Peggio del mese
FIRST MAN – IL PRIMO UOMO di Damien Chazelle
Sceneggiatura di Josh Singer

Con Ryan Gosling,Claire Foy,Kyle Chandler,Jason Clarke

Prende consistenza con facilità,appena qualche attimo dopo aver visto tutto il film,che Damien Chazelle non abbia percepito fimo in fondo il pericolo artistico di addentrarsi nel viaggio ancor oggi più spettacolare e al medesimo istante più misterioso mai effettuato dagli uomini. La vita di colui che passò alla storia per aver messo piede sul suolo lunare,Neil Armstrong,tradotta per il cinema consegna un ibrido dalle sequenze insolute,di ridotta incisività sul piano umano e sostanziale. L’autore che meglio ha saputo esprimere in questi anni la profonda genesi,il gemellaggio tra l’indole della natura interiore e l’assoluta capacità di saperla trasformare in arte stavolta non fa centro. Un giovane regista di talento come non se ne vedono spesso invece ha trovato nei rivoli della straordinaria quotidianità e nelle incerte traiettorie di ordine spaziale l’ostacolo che non fece decollare la navicella degli spazi significativi. Capiremo fino in fondo quanto il desiderio di allunaggio voluto da una società e la scelta eroica di un uomo per rappresentarla,non si addicano a quei sogni fatti di musiche e infiniti,faticati viaggi interiori con i quali abbiamo conosciuto Chazelle. Avevano preso luogo in lui attributi non comuni e scelte oggettivamente tanto più intriganti nella costruzione di un’originale cammino dal passo universale. Questo prese forma in un concetto dei racconti che raggiunse la definita plasmabilità tra il senso astratto di una disciplina e l’assoluta abnegazione personale per trasformarla in perfezionismo. Un aspetto ricorrente che si ergeva a vessillo distinguendo il valore dei suoi lavori precedenti. In controtendenza la luna elevata a immagine subliminale di potenza ed esente da qualunque influenza di tipo poetico che non fosse il palese riconoscimento di una forza imperiale,fa perdere al viaggio dell’uomo le sembianze di quella fatica intima inconfondibilmente lontana dall’asprezza di una lotta assestata nella geofisica. Di certo la fascinazione e la luce riflessa del satellite terrestre non riconducono all’attrazione del pentagramma musicale,sotto molti versi ascetica e infinita pianura per la conoscenza,che ha scandito linguaggio e sintesi delle sue eccellenti pellicole (Whiplash, La La Land). Chissà,forse avrebbe voluto riproporre in chiave diversa l’ideale palinsesto semantico che sta nelle proprie corde. Il regista difatti viene tentato dal riprendere sotto altre vesti la tipicità di una rappresentazione rigorosa e metodica. L’autore d’inverso sembra imbarazzato quando lavora a una pellicola che non ha scritto. L’astronauta tuttavia consegna dalle capacità individuali riprese con angolazioni,primi piani ricorrenti,un filo logico imprendibile le cui note non renderanno vibrazioni e suoni impercettibili. La cupa e parallela tenacia del futuro primo uomo,cosparse non di meno da forte carattere tecnocratico sono energie dal fuoco propositivo rilasciano però i soli risvolti minimali di una personalità che concede poca espressione significativa alle vette salienti del film. L’ensemble dei legami familiari,il trend di un lavoro sottoposto a ferrea immersion dalla Nasa per creare in provetta l’eroe più identificabile dopo quelli della seconda guerra mondiale,restano un mix di fredda partecipazione che non liberano in Armstrong l’identificarsi con il vigore di una missione superiore. C’è incombente il sapore di una bibliografia dagli ingredienti fin troppo ufficiali che non concedono libera consapevolezza ai voli del cinema indipendente. Forse si voleva un compromesso tra le regole del potenziale blockbuster e i crismi del film creativo. Come spesso accade usando i misurini del contabile,le ragioni del di tutto,di più si traducono di regola nel grafico retto dal segno meno