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Leviathan, una magistrale lezione contro il potere
Grido di dolore che approda alla verità tra giustizia e lotta ambigua
Tutti davanti al grande film ma qualcuno trova sempre la smagliatura

A cura di FRANCO FERRI

Leviathan, una scena dal film
Leviathan, una scena dal film
Non capita molto spesso che lo svolgimento e il clima di un film continuino a intrecciare domande anche dopo la fine. Resta impresso nella mente dello spettatore un forte richiamo all’indignazione per tutto quello che la vicenda ha osato comunicare. Leviathan è una storia certamente attuale e odierna,confinata nella Russia del mare settentrionale dove un sindaco dispone di leggi e istituzioni a suo piacimento per espropriare una terra di poveracci nella quale dovrà sorgere un complesso residenziale. Quel grido di dolore che esce dai protagonisti distrutti riesce ad approdare al senso di verità grazie a capacità registiche (Andrei Zvjagincev) che partono da un graduale,sempre più pressante,disegno antropologico nel rappresentare gli uomini con ogni dovizia di sfumature. Per questa caratteristica riesce ad evocare una quotidianità,un grande affresco contemporaneo che può essere accettato e condiviso anche in altre latitudini,più o meno lontane dalla Russia oligarca del leader Putin.Il protagonista Kolya,con gli altri accanto vive una realtà decadente,cercherà il riscatto della sopravvivenza di fronte all’insolente schieramento politico-criminale voluto dal sindaco Vadim,ma quale uomo senza peccato può segnare speranza quando gli stessi dogmi e precettori della chiesa locale si proteggono nella casa del più forte? “ Esce un ritratto desolato,bruciante,in cui quasi non ci sono personaggi positivi ”,dirà Emiliano Morreale (L’Espresso) ponendo al centro del racconto una certa ambiguità di substrato che lo allontana da equivoci manicheismi tra bene e male. Didier Péron su Libération in tema d’interrogativi ne pone uno assoluto,che il film sembra sottintendere amaramente,da intuire senza ricorso a fasulle luci,” L'unico scopo da raggiungere,l'unico davvero a portata di mano,fosse l'annientamento ?” Allora il leviathan del titolo diviene argomento opportuno e razionale richiamando al simbolo di un male atavico,radicato che il filosofo inglese Thomas Hobbes citò per raffigurare l’unione di Stato e Chiesa a incarnazione di una forma assoluta di potere che evidentemente nei nostri giorni può ritrovare adesione convinta e nascosta.

Claudio Carabba
Claudio Carabba
La completezza contenutistica della pellicola,che va oltre i significati di un film di denuncia,sembra simile a quella descritta nelle “Ingiustizie zariste dei grandi romanzi russi” suggerisce Mauro Donzelli di Comingsoon.it,il quale entrando nello specifico dice,“ Lascia fuori campo alcuni momenti cruciali,esplosioni di azione che vengono mostrati solo attraverso il peso dirompente che hanno sui personaggi ”. Gli aspetti,probabilmente se espressi,avrebbero tolto coerenza stilistica che al contrario lascia alla suggestione interiore quel tanto di percettività letteraria per nulla in disaccordo con le sequenze cinematografiche. Al pari dei grandi romanzi russi del passato,Leviathan sa descrivere un profondo legame tra uomo e terra che porta in sé una malinconia fisiognomica assai confinante con l’incedere del dramma,Claudio Carabba sulle pagine dell’Inserto Sette del Corriere della Sera scriverà,” Il film piega verso la tragedia. Chissà se qualcuno troverà una smagliatura nella rete per seguire una fragile ipotesi di salvezza ? ” Qualche opinionista invece le smagliature nella storia ha tentato di farle arbitrariamente,rispettiamo i giudizi contrari ma spesso coincidono con una volontà parziale se non completamente vicina al dispregio disattento di un’opera. Massimo Bertarelli (Il Giornale) chiamando in causa un presunto autore,“ Il regista russo,Andrey Vattelapesca ” afferma che avrebbe dovuto tagliare “ tre quarti d’ora inutili del film,detesta la sintesi e adora viaggiare nelle metafore,in fin dei conti è un (bel?) mattone ”. Qualcun altro con invasiva voglia di colore ha visto nella pellicola “ Momenti di grande ironia tra una bottiglia di vodka e l'altra ”,questo è il pensiero di Nicola Falcinella su L’Eco di Bergamo. Riesce difficile scorgere tali espressività nel condensato della storia a meno che non si riferisca alla gita di gruppo in campagna. Se il notista ha scorto ironia,termine assai inappropriato,quei piccoli sorrisi vanno equiparati a ghigni perché tra alcol e tiri a segno il tutto sarà propedeutico ad un momento molto drammatico che detterà influenza sul resto della vicenda. Un grande film sa spiccare il volo,nell’insieme adempie al compito morale di " Cinema che si propone di avere anche una missione spirituale ”,secondo l’affermazione di Alessandra De Luca (Avvenire).In questo versante appare molto calibrato e didascalico il pensiero a largo raggio di Eugenio Renzi su Il Manifesto che completa,come un’effige sul film,il palpito culturale di un paese ferito. “ Il suo cinema appartiene a quella tendenza spiritualista che in Russia fa capo a Tarkovskij,si potrebbe riassumere nell'idea che l'arte ha un compito metafisico fondamentale:preparare gli uomini ad accogliere la verità.”..
17 maggio 2015